«Il Patto non è più vincolante»
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ROMA Il Patto del Nazareno «è rotto». Al termine di una riunione dell’ufficio di presidenza in versione ristretta — ammessi solo una trentina di componenti, gli aventi diritto al voto — e nel mezzo di una guerra interna violentissima, Forza Italia diffonde un comunicato secco: dopo la decisione «unilaterale» di Renzi sull’elezione del capo dello Stato, che ha violato il senso delle intese siglate un anno fa, il partito si sente libero di «valutare quanto proposto di volta in volta, senza alcun vincolo politico derivante dal patto».
Parole in apparenza chiare, come quelle di Giovanni Toti che parla appunto di una «rottura» degli accordi stretti tra Renzi e Berlusconi. Parole che però vanno lette in un quadro politico che definire impazzito è poco, e che a fine giornata fra gli azzurri ognuno interpreta un po’ come vuole. Sì perché la decisione dell’ufficio di Presidenza è giunta nel clima infuocato di una mattinata in cui è successo un po’ di tutto: mentre infatti i 30 si riunivano a palazzo Grazioli, Raffaele Fitto teneva una contestuale conferenza stampa per annunciare che lui (non invitato alla riunione) e il suo gruppo non riconoscono «la valenza politica, giuridica e statutaria» dell’organismo, che continuano a chiedere «l’azzeramento totale» dei vertici azzurri e che se non arriveranno risposte la battaglia si sposterà dai palazzi romani al territorio.
Finita qui? No, perché mentre Fitto parlava, Brunetta (e dopo di lui Bernini e Carfagna) offrivano a Berlusconi le loro dimissioni dai rispettivi incarichi, lui le respingeva e sconvocava la riunione dei gruppi parlamentari prevista per il pomeriggio. In questo caos, la verità è che, con Verdini praticamente muto, nessuno ha davvero sentito pronunciare al leader le parole «il patto è finito». La rabbia c’è, come la consapevolezza di dover dare una risposta dura allo schiaffo di Renzi. Ma alla domanda se davvero la prossima settimana — quando alla Camera riprenderà l’esame della riforma del Senato e più avanti approderà l’Italicum — FI voterà contro o darà battaglia sui punti controversi, le risposte si fanno più che sfumate: «Non siamo kamikaze — premette Toti —. Il cammino delle riforme proseguirà. Ma non ci sentiremo impegnati ad accettare tutto quello che ci verrà proposto».
Escluso insomma, se la maggioranza non modificherà i testi, che FI voti contro i provvedimenti, mentre è prevedibile qualche battaglia quasi di bandiera su «4 o 5 punti». Però, dicono da palazzo Grazioli, adesso sarà Renzi a dover stare attento alle sue mosse, perché l’ok alle riforme potrebbe anche arrivare senza troppe scosse, ma se «non vuole finire appeso ai ricatti della sua minoranza, avrà bisogno di noi». E, soprattutto, non potrà più «dare per scontato il nostro sì su ogni sua proposta, come era avvenuto finora».
Tutto insomma è ancora sospeso, Fitto già provoca («Patto rotto? Se non lo vedo non ci credo…») e Alfano da parte sua si riallinea alla maggioranza e cerca di far pesare i suoi numeri al governo: «Patto rotto? Per noi non è una buona notizia. Sarebbe stato meglio se fosse durato. Ma noi ci siamo, con i nostri voti c’è la maggioranza in Parlamento per proseguire. Spero in un riaggancio di FI ma noi saremo determinanti».
Finita qui? No, perché mentre Fitto parlava, Brunetta (e dopo di lui Bernini e Carfagna) offrivano a Berlusconi le loro dimissioni dai rispettivi incarichi, lui le respingeva e sconvocava la riunione dei gruppi parlamentari prevista per il pomeriggio. In questo caos, la verità è che, con Verdini praticamente muto, nessuno ha davvero sentito pronunciare al leader le parole «il patto è finito». La rabbia c’è, come la consapevolezza di dover dare una risposta dura allo schiaffo di Renzi. Ma alla domanda se davvero la prossima settimana — quando alla Camera riprenderà l’esame della riforma del Senato e più avanti approderà l’Italicum — FI voterà contro o darà battaglia sui punti controversi, le risposte si fanno più che sfumate: «Non siamo kamikaze — premette Toti —. Il cammino delle riforme proseguirà. Ma non ci sentiremo impegnati ad accettare tutto quello che ci verrà proposto».
Escluso insomma, se la maggioranza non modificherà i testi, che FI voti contro i provvedimenti, mentre è prevedibile qualche battaglia quasi di bandiera su «4 o 5 punti». Però, dicono da palazzo Grazioli, adesso sarà Renzi a dover stare attento alle sue mosse, perché l’ok alle riforme potrebbe anche arrivare senza troppe scosse, ma se «non vuole finire appeso ai ricatti della sua minoranza, avrà bisogno di noi». E, soprattutto, non potrà più «dare per scontato il nostro sì su ogni sua proposta, come era avvenuto finora».
Tutto insomma è ancora sospeso, Fitto già provoca («Patto rotto? Se non lo vedo non ci credo…») e Alfano da parte sua si riallinea alla maggioranza e cerca di far pesare i suoi numeri al governo: «Patto rotto? Per noi non è una buona notizia. Sarebbe stato meglio se fosse durato. Ma noi ci siamo, con i nostri voti c’è la maggioranza in Parlamento per proseguire. Spero in un riaggancio di FI ma noi saremo determinanti».
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