S&P patteggia sui mutui subprime e paga agli Usa 1,5 miliardi di dollari

S&P patteggia sui mutui subprime e paga agli Usa 1,5 miliardi di dollari

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NEW YORK . E alla fine pagò anche Standard&Poor’s. In quello che viene definito l’ultimo grande castigo dell’Amministrazione Obama a Wall Street (ultimo in data, visto che le banche hanno già pagato da tempo), la più grande agenzia di rating mondiale viene colpita con una sanzione di 1,37 miliardi di dollari. La ragione: i “voti facili” regalati ai titoli tossici, proprio quei derivati “strutturati” che contenevano spezzatini di crediti verso le famiglie titolari dei mutui subprime. Il detonatore della grande crisi del 2008, insomma. Su quella vicenda di malafinanza, le impronte digitali delle agenzie di rating erano ovunque. Il meccanismo di Wall Street non avrebbe funzionato così bene, senza la complicità di coloro che devono stabilire il grado di solvibilità dell’emittente dei titoli obbligazionari. Dunque, le banche erogavano mutui a famiglie che non sarebbero state in grado di restituirli, spesso abbindolandole con tassi iniziali allettanti; poi le stesse banche si sbarazzavano della titolarità dei crediti infilandoli nel tritacarne dei titoli compositi; infine i Signori dei Rating aiutavano i banchieri a collocare quei titoli ad altissimo rischio sul mercato, impacchettandoli con la carta regalo della tripla A, il massimo voto nella scala dei rating. Il tutto in flagrante conflitto d’interessi: le agenzie di rating si facevano pagare dalle società emittenti alle quali regalavano i voti truccati. Gli investitori, quelli che rimanevano con il cerino in mano, erano beffati.
Questo meccanismo è noto da tempo, almeno da otto anni. Perché l’Amministrazione Obama ci ha messo così tanto a colpire Standard&Poor’s? (Le altre agenzie di rating stanno per ricevere sanzioni analoghe.) La spiegazione maliziosa, la diede S&P quando partì l’inchiesta penale del Dipartimento di Giustizia: i capi dell’agenzia di rating dissero che era una vendetta della Casa Bianca, dopo il downgrading (declassamento) del debito sovrano Usa avvenuto nell’estate 2012. Tutto falso: ora S&P si rimangia pubblicamente quell’insinuazione… forse anche per ottenere uno sconto della pena. Rispetto ai 3,2 miliardi della richiesta iniziale, alla fine il Dipartimento di Giustizia si è accontentato di meno di un terzo.
La lentezza del procedimento comunque può avere un’altra spiegazione, non dietrologica. Un conto è dimostrare che le triple A regalate dai Signori dei rating ebbero un ruolo malefico nella grande crisi; altro è dimostrare che ci fu dolo. Per farlo, il segretario alla Giustizia Eric Holder ha dovuto sguinzagliare i suoi inquirenti, affinché reperissero le prove della malafede. Che alla fine sono saltate fuori sotto la forma delle classiche email interne: i dirigenti di S&P tra di loro scherzavano senza troppo ritegno sulla “casa dei mutui subprime che sta per crollarci addosso”. Insomma sapevano che quei titoli erano spazzatura, ma continuavano a spacciarli per diamanti visto che S&P ne aveva un tornaconto.
Con questa sanzione, che si aggiunge agli altri 40 miliardi di dollari di multe inflitte alle grandi banche, Wall Street ha quasi finito di “espiare” le sue colpe, almeno per quanto riguarda le indagini avviate dall’Amministrazione Obama. In alcuni casi c’è una coda di processi civili per danni. S&P, per esempio, ha dovuto anche risarcire il più grande fondo pensione americano (Calpers, la previdenza degli impiegati statali della California) con 125 milioni. «Il patteggiamento con S&P – ha dichiarato il ministro Holder – sottolinea che siamo determinati nel perseguire chiunque abbia violato la legge e contributo alla crisi finanziaria del 2008. In più di una occasione i vertici di S&P hanno ignorato i loro stessi analisti, i quali mettevano in guardia l’agenzia contro i rating di alto livello concessi a prodotti finanziari i cui risultati erano inferiori al voto assegnato».


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