Mattarella sfonda il quorum ecco il nuovo Presidente “Penso a chi è in difficoltà” poi va alle Fosse Ardeatine

Mattarella sfonda il quorum ecco il nuovo Presidente “Penso a chi è in difficoltà” poi va alle Fosse Ardeatine

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CON un discorso di diciotto parole Sergio Mattarella esordisce da presidente e consegna a Renzi la laurea ad honorem di leader politico. 160 voti più del necessario, un solo nome, risultato netto in quarta votazione. Terzo giorno di scrutinio, come previsto. Non c’è più nessuno che complotti, all’improvviso. Nessuno che derida il ragazzo ambizioso. Nessuno che dica vedrai che è una manfrina, Berlusconi lo metterà nel sacco come ha sempre fatto persino con D’Alema, e sennò ce lo metterà D’Alema. Errore. E’ Matteo Renzi che mette nel sacco tutti quanti insieme, chiude la stagione del partito di Berlusconi e quella della tradizione comunista, Mediaset e Botteghe Oscure in un colpo solo: tramontano il partito di plastica e il risiko degli strateghi del secolo scorso.
Il cattolicesimo democratico 3.0 prende in prestito un campione della Prima Repubblica democristiana per liquidare la Seconda ed entrare finalmente nella Terza, che un secolo dopo parla ancora la lingua di Don Sturzo e là torna: alle radici comuni, ai padri fondatori, alla sorgente della Dc. Matteo Renzi e Sergio Mattarella sono i due volti, due diverse generazioni della stessa matrice politica. Per dirla con Gianfranco Rotondi, democristiano indomito per quanto minore: “Sono anni che dico a Silvio: quella che De Mita chiamava la classe dirigente diffusa, i consiglieri gli assessori i dirigenti locali i professionisti, nel paese sono sempre rimasti gli stessi nei decenni. Liberati dei liberal chic, gli dicevo. O rifai la Dc o te la ritrovi contro”. Contro, se la è ritrovata. “Il mio pensiero va soprattutto, anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. E’ sufficiente questo. Grazie”. Diciotto parole, 128 caratteri. Il nuovo Presidente, Sergio Mattarella, ha la misura di twitter incorporata nella discrezione atavica, nella sottrazione come metodo. Quelli che per Renzi sono slogan per lui sono la misura e la forma naturale del pensiero. Nessuno sforzo, in entrambi i casi.
I capolavori del resto hanno questo di speciale. L’assenza di sforzo apparente. Vedi un disegno fatto senza staccare la matita dal foglio, un tuffo da dieci metri senza schizzi, un ballerino che si alza di un metro da terra e pensi bello, facile. Poi sono Picasso Greg Louganis e Nureyev ma tu sempre pensi: gli è venuto facile. Sorridono, quelli così. Non sudano, raramente fumano. Quando all’ora di pranzo le porte dell’ascensore di Montecitorio si chiudono su Matteo Renzi e Maria Elena Boschi l’attenzione cade sui mutui sorrisi, sui gesti fluidi e confidenti, sull’assenza assoluta di segni di stanchezza e di fastidio dagli abiti senza una gora, dai volti senza un gonfiore da insonnia. Fatte le debite proporzioni, chè la politica non assegna ori olimpici e gode la gloria di un attimo, gli è ve- nuto facile. Non andò così un anno e nove mesi fa. Era lo stesso Parlamento, le stesse persone: sembrò, e fu, difficilissimo. Rovinoso, diciamo pure. Marini, poi Prodi. Un disastro. Oggi tutti sorridono in souplesse, si rallegrano. Bravo Matteo, bravi tutti. Sembra che abbiano vinto anche quelli che hanno perso. I candidati sconfitti o per qualche divisiva ragione esclusi fanno a gara a congratularsi. Bene così per il Paese. Franceschini, Fassino, Veltroni, Finocchiaro. Battono sulla spalla di Guerini il capogruppo Speranza e il bersaniano Gotor, che bacia Maria Elena Boschi. Da centrodestra, come dalla sera prima previsto, in soccorso del vincitore sono corsi a frotte. Franchi soccorritori come se grandinasse. 665 voti per Sergio Mattarella, quasi la maggioranza dei due terzi. Almeno 50 voti da Forza Italia, una larga maggioranza di centristi Ndc e Udc. Inutili e irrilevanti i grillini. In direzione ostinata e contraria la Lega. Situazionisti i Fratelli d’Italia, con Giorgia Meloni che dice “siamo tornati agli Anni Settanta, volevo mettere i pantaloni a zampa d’elefante”. Gli anni Settanta nei Venti del nuovo secolo, qualcosa vorrà dire.
E’, questo, un capolavoro politico che consegna a Renzi un centrodestra berlusconiano in rotta e già pronto a trovare nuova casa, una sinistra Pd sconfitta ma già pronta a intestarsi la concorrenza della vittoria, in un attimo pronta a dimenticare i sogni di rivincita del giorno prima. Overbooking, come sempre, sul volo di chi ha vinto. L’aula applaude quasi al completo per quattro minuti e con un certo anticipo sull’esito del voto, ansiosa di mostrarsi nel giusto. Restano a braccia conserte, insieme ai grillini, solo i nemici storici del cattocomunismo progionieri delle loro biografie — Sacconi, Formigoni — e qualche più giovane forzista colto controtempo. “Triste vedere Quagliariello e Di Girolamo che non applaudono un uomo come Sergio Mattarella”, dice Paolo Naccarato con gli occhi lucidi di emozione: “Un brutto spettacolo. Sergio è un uomo da cui si può solo imparare”. Poi, sottovoce: “La Gladio della Dc ha vinto ancora”. Sorriso. La Gladio, la Dc. Naccarato è un uomo di Cossiga. Ha messo, oggi, la cravatta coi quattro gatti che l’allora presidente fece fare nel 1998, per la nascita del Governo D’Alema, Mattarella vicepresidente del Consiglio. “Quel governo lo volle Cossiga, si ricorda?”. Come no, i Quattro Gatti. “Avrebbe adorato vedere Sergio al Quirinale, Cossiga. E avrebbe amato tanto anche Renzi. Così svelto, così capace, un ragazzo moderno ma pur sempre un allievo di Matulli, no?”. Matulli, Giuseppe Matulli. King maker della politica fiorentina. Raffinato, vecchia scuola. Sinistra Dc. Scelto da De Mita. Da lì bisogna ripartire, mentre il senatore Sacconi si dimette indispettito da capogruppo e Mattarella sale in Panda per il suo primo viaggio da Presidente: dalle radici comuni, un poco di vecchia storia che lega insieme il giovane boy scout fiorentino e l’anziano professore siciliano, così lontani così vicini. Angelo Sanza, un altro ex cossighiano, alla buvette. “Matulli, sì. De Mita scelse Matulli quando dovette nominare i suoi colonnelli, era bravissimo, brillante. Renzi viene da lì. I partiti politici coi nomi inventati nascono e muoiono, sono le culture che non si esauriscono. Il cattolicesimo democratico: questa è e resta la colonna dorsale del Paese. Sia Mattarella che Renzi hanno studiato i discorsi di Don Sturzo, un siciliano. Siamo gente, noi, che se non sei partito da Croce e non conosci l’Ecclesiaste non ti danno nemmeno la parola in una riunione di partito. Mattarella, per formazione, è un prete laico. L’ho conosciuto con Zaccagnini ai funerali di suo fratello Piersanti. Zaccagnini gli disse: ti vuoi impegnare con noi in politica? Lui rispose: dammi tempo, ci devo pensare. Renzi è un bisnipote di Zaccagnini, un nipote di Mattarella. Se non si sono conosciuti non importa, hanno lo stesso sangue politico”. Giace affranto in una poltrona Pierferdinando Casini, simula disinvoltura con discreto successo. “Gli è toccata la stessa sorte di Forlani”, sorride Sanza, la storia fa dei giri: De Mita andò da Natta, a casa di Biagio Agnes, a proporre Forlani presidente della Repubblica. Natta rispose al massimo possiamo votare Cossiga. Sembrano passati secoli, ancora là si torna. Votarono Cossiga.
Mattarella è già in cammino verso le Fosse Ardeatine, prima uscita simbolica da presidente. “L’alleanza tra Nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista e antisemita e totalitario. Stiamo uniti contro la nuova stagione del terrore”. A Montecitorio ancora si aggirano gli ultimi festanti restii ad abbandonare il teatro del trionfo. Pare che Ugo Zampetti sarà segretario generale, se ne parla molto. Si enumerano i vecchi collaboratori del nuovo Presidente: torneranno in auge. I siciliani di destra e di sinistra brindano poco distante, rumorosi, insieme a Rosario Crocetta presidente di Regione. I veri king maker dell’operazione Mattarella nel Pd, Fioroni e Guerini, sono stretti in stanza attorno a Renzi. Un applauso così lungo, di sollievo, in aula non si era sentito mai — gli dicono. Di Berlusconi nessuna notizia. “Dovevamo votare anche noi Mattarella”, scuote la testa uscendo Rocco Crimi, ex tesoriere di Forza Italia. L’antico portavoce del Cavaliere Paolino Bonaiuti: “Da oggi in Fi può succedere di tutto perché tutto quello che si poteva sbagliare si è sbagliato. Mattarella, va detto, è un galantuomo. E Renzi, mi costa, davvero un drago. Sembra che gli riesca tutto senza sforzo”. Sembra, dice, che gli riesca facile.


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