L’ambigua eredità di re Abdullah
Quando muore il re di un Paese che porta nel suo nome, Arabia Saudita, quello della famiglia regnante — caso unico al mondo — è necessario porsi un nugolo di domande.
La prima è scontata. Chi era davvero Abdullah bin Abdul-Aziz al Saud, il sovrano novantenne scomparso ieri? Un tiranno? Un leader saggio? Potremmo utilizzare una terza via: è morto un ambiguo riformatore.
Abdullah è stato di sicuro un sovrano abbastanza illuminato, se non altro per aver aperto — teoricamente — il voto municipale alle donne; per aver offerto a Israele la pace dell’intero mondo arabo in cambio del ritiro da tutti i territori occupati; per aver consentito, almeno sul web, critiche alla corte reale. E poi perché ha pensato di rinnovare il regno, cercando di coinvolgere, oltre gli ultraottuagenari figli del fondatore, le generazioni più giovani, e puntando a rendere meno rigida la divisione tra il potere politico dei reali e quello religioso degli intransigenti custodi wahabiti.
Non stupisce quindi che, nel coro dei roboanti riconoscimenti per l’augusto defunto, giunti a Riad da tutto il mondo, vi sia quello del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Non è un mistero che le relazioni tra i due alleati si fossero ultimamente raffreddate per almeno due ragioni: gli Usa hanno raggiunto l’indipendenza energetica ed hanno allentato il loro interesse per il Medio Oriente; Riad non ha mai smesso di finanziare tutti i movimenti estremisti islamici, compreso — almeno nella prima fase — l’Isis di Al Baghdadi.
Tuttavia, re Abdullah non era favorevole a queste pericolose scivolate. È stato lui a imporre relazioni strettissime e assai generose con l’egiziano Al Sisi, che ha detronizzato Morsi, e a tagliare i legami con il califfo tagliagole, anche perché le violenze stavano esondando, via Iraq, proprio nel regno.
È difficile dire che cosa farà ora l’ottantenne nuovo re Salman, anch’egli in pessime condizioni di salute, e quale spazio lascerà all’erede al trono Muqrin, che ha «soltanto» 69 anni.
È forse questa la lezione più preziosa che lascia il defunto Abdullah. Il prezzo del barile è crollato, le riserve petrolifere non sono eterne, gli spaventosi consumi sauditi rischiano di prosciugarle in fretta. Lo scettico sovrano scomparso aveva probabilmente compreso che la gratuita ricchezza sta finendo e che occorre il cambio di marcia, affidando le redini dell’Arabia Saudita a una leadership più giovane e moderna.
Antonio Ferrari
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