L’occasione clamorosa che ci offre Tsipras
Nel capitolo VI del Principe Machiavelli parla dell’Occasione come di ciò che apre il tempo, rende possibile quanto prima sembrava impensabile, e offre agli uomini «materia a potervi introdurre drento quella forma parse loro». A condizione che essi posseggano la virtù politica per eccellenza, quella di saperla cogliere: «Sanza quell’occasione la virtù dell’animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta meno». Perché l’Occasione, per sua natura, fugge. Nelle allegorie rinascimentali è infatti rappresentata come una fanciulla dai piedi alati, in corsa su una sfera, i capelli sulla faccia.
Nelle allegorie rinascimentali l’Occasione è infatti rappresentata come una fanciulla dai piedi alati, in corsa su una sfera, i capelli sulla faccia, perché non sia facile riconoscerla, la nuca nuda, perché chi ne è stato superato non potrà più riacciuffarla.
Oggi ci si presenta una grande occasione. Una eventuale vittoria di Syriza in Grecia aprirebbe una finestra nel tempo. Dimostrando che «si può», cambierebbe la situazione non solo in quel Paese ridotto al coma sociale dalle politiche di austerità ma potrebbe innescare una reazione a catena nell’intero sud Europa e non solo, rendendo credibile e realistica la possibilità di cambiare alla radice i dogmi mortali di Bruxelles e Francoforte.
Se poi in autunno, in Spagna, Podemos si affermasse come forza capace di aspirare al governo, come i sondaggi lasciano oggi presagire, si profilerebbe una sinistra mediterranea capace di voce potente, tale da stabilire con l’asse dell’egoismo e del rigore un rapporto di forza consistente (l’unico argomento a cui sembrano sensibili).
In mezzo, tra Grecia e Spagna, noi. L’Italia. Oggi un’incognita sulla mappa politica.
Ma anche qui con un’occasione, clamorosa. Perché dopo anni di silenzio, la società, il mondo del lavoro in primo luogo, si sono rimessi in movimento. E l’hanno fatto segnando una frattura, a giudizio di molti di noi incomponibile, e davvero «storica», con il Partito democratico di Matteo Renzi, sempre meno democratico. Sempre meno confondibile anche con un barlume di sinistra. E sempre meno «partito», ma piuttosto campo, inquinato, d’interessi e di ambizioni in cui la politica è risucchiata in alto, nella figura del capo-segretario-premier, e sequestrata nel Governo.
Il caso della Liguria è esemplare non solo per lo «strappo» di Sergio Cofferati, ma per ciò che esso rivela e denuncia: lo stato di degrado, politico e morale, di quel partito. Il livello di diffusione dell’infezione anche in basso, nei territori, dal momento che ovunque si posi lo sguardo, sia il caso di Mafia Capitale o, appunto, dei cinesi liguri, viene fuori il marcio.
Se poi si confermerà la parte più velenosa del patto del Nazareno e se, come pare, si profilerà per l’Italicum e per l’elezione del Presidente la nascita di una inedita area politica trasversale, costruita sulla restituzione della «dignità politica» a Silvio Berlusconi e sul dominio personale di Matteo Renzi – un’area che rappresenterà la peggiore Italia -, si porrà con chiarezza, per tutti, l’impossibilità di continuare a credere e appartenere, anche solo per dissentire, a quel contesto mantenendo la propria, di dignità.
Il che apre una gigantesca questione di rappresentanza: la necessità di offrire, appunto, rappresentanza a quella parte, sempre più ampia, di elettorato che oggi ne è priva. E che sarebbe costretta alla scelta umiliante dell’astensione, proprio nel momento in cui dall’altra parte sale una estrema destra feroce e «sociale» insieme, determinata a quotare alla propria borsa tutti gli umori perversi alimentati dalla crisi.
Per questo il documento presentato all’assemblea di Bologna de L’Altra Europa con Tsipras ha un capitolo intitolato Il tempo è ora.
È tempo di pensare in grande, e in fretta, per costruire non una «piccola casa» – una tra le altre, tutte parziali, tutte insufficienti -, ma una grande «casa comune della sinistra e dei democratici», come abbiamo scritto, in grado di rispondere all’emergenza democratica e alla crisi sociale.
Di quel progetto noi ci «mettiamo al servizio», perché crediamo che nessuno possa pretenderne né il copyright né la primogenitura, ma che debba essere costruito tutti insieme. E in fretta.
«Dall’alto», attraverso la messa in comune delle esperienze politiche di tutte le culture e i gruppi che si oppongono al renzismo, ma soprattutto «dal basso», raccogliendo la domanda di radicalità e di credibilità che viene dai territori. E sapendo che senza una netta rottura di stile, di modalità organizzative, di linguaggio e di personale politico – senza il segnale inequivocabile di un «nuovo inizio» – si rischierebbe il crash al decollo.
Credo di poter dire che da Bologna, dopo una discussione intensa, politicamente ricca, a tratti anche aspra, esce un messaggio forte. Dice che siamo davvero «a un bivio» (non noi, ma il Paese intero, e l’Europa tutta). Che non c’è più tempo. E che restare ognuno nella propria piccola casa non è più possibile perché, come ha ripetuto, pazientemente, Alexis Tsipras in questi mesi, si tratta di «fare tutti in passo indietro per farne insieme due avanti».
Questo messaggio lo porteremo ovunque: ad Atene, dove stanno convergendo quanti vedono nella breccia aperta da Syriza un’occasione anche per l’Italia. All’incontro milanese di Human Factor. E in ogni momento d’incontro che si offrirà nelle prossime settimane in ogni territorio, chiedendo a tutti di condividerne lo spirito.
Perché se perdessimo questa occasione non ci sarebbe davvero perdonato.
Sempre Machiavelli, in una breve raccolta di versi a commento di un bassorilievo di Fidia, associa Occasione e Penitenza: «Dimmi: chi è colei che teco viene? È Penitenzia; e perciò nota e intendi: chi non sa prender me, costei ritiene».
Non dimentichiamolo.
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