«Vedo che Renzi va in televisione a darmi dell’ipocrita, che i vicesegretari bollano come inspiegabile e ingiustificato il mio addio al Pd. Solo insulti e offese. Se un partito, invece di chiedersi le ragioni delle dimissioni di uno dei suoi fondatori, reagisce così, siamo alle frutta. Anzi, ormai al digestivo».
Ha denunciato irregolarità e brogli nelle primarie a favore della sua concorrente Raffaella Paita. Perché solo a fine gara, non prima?
«Ma io per un mese e mezzo ho informato la Serracchiani e Guerini, i due vice di Renzi, dello scempio che si stava consumando in Liguria, dei rischi di inquinamento del voto, della partecipazione organizzata del centrodestra con l’Ncd e anche Forza Italia alle nostre consultazioni per votare e far votare la Paita, con la partecipazione attiva di certi fascistoni mai pentiti, e la presenza perfino di personaggi in odor di mafia ai gazebo e ai seggi».
E dal vertice del Pd, di fronte ad uno scenario simile, davvero non hanno fatto una piega?
«Mai. Nessuna risposta. Così i pericoli che temevo, si sono puntualmente avverati. Il risultato in tredici seggi, dove per una manciata di euro sono stati convogliate file di poveri stranieri, è stato annullato dalla commissione di garanzia. Sta indagando la procura di Savona e forse anche quella di Genova si muoverà. Ed è scesa in campo anche la Dda, la direzione distrettuale antimafia».
Tutto organizzato contro di lei? Da chi
e perché?
«Era stata pianificata una vittoria a tavolino, con l’appoggio del centrodestra. Alcuni suoi esponenti, come il segretario regionale Ncd Saso, l’ex senatore forzista Orsi, il fascista Minasso, lo avevano pubblicamente dichiarato. Quando io ho dato la mia disponibilità e sono entrato in campo, ho scompaginato i loro disegni. E l’organigramma di potere era già pronto».
Vuol dire che avrebbe vinto, senza le irregolarità che ora denuncia?
«Non lo so. Io ho preso circa 24 mila voti. Chi ha vinto, circa 28 mila. Però nel 2011 a Napoli per irregolarità denunciate in tre seggi, dico tre, Bersani annullò le primarie. Perché a Genova deve essere diverso che a Napoli?».
Cos’è, una conventio ad excludendum contro Cofferati pilotata dalla segreteria nazionale?
«Da quella ligure, di sicuro. La segreteria nazionale è stata, diciamo, assente, distratta, lontana. Salvo negli ultimi giorni, quando è piombata il ministro Pinotti a sostenere la Paita e una formula politica per la regione che mai si era discussa qui, e che io mai avrei appoggiato: le larghe intese con il centrodestra, l’esportazione anche in Liguria del modello nazionale renziano».
Però questa è appunto una linea politica, che si può o meno condividere, che c’entra con i brogli?
«Certo, ma per imporre, realizzare questo modello politico si è fatto ricorso in modo spregiudicato al sostegno del centrodestra nelle primarie del nostro partito. E anche all’inquinamento con voti comprati. Sta tutta qui la ragione delle mie dimissioni, la ferita politica che si è aperta nel Pd, e non solo in Liguria. Sono stati cancellati i valori stessi su cui è nato il Partito democratico. E io che ne sono stato uno dei 45 fondatori, e non c’era certo Renzi, me ne vado con dolore. Sono stati ormai distrutti i principii e gli strumenti per la loro affermazione, e cioè proprio le primarie. E non parliamo del rispetto personale: ogni giorno della campagna sono stato insultato, in particolare dal sindaco di La Spezia».
Lei lascia il Pd ma non il seggio a Strasburgo dove è stato eletto proprio con i voti del partito. Non dovrebbe farlo?
«Alle elezioni europee, dove molti fanno finta di dimenticare che si vota con le preferenze, sono stato rieletto con 120 mila voti. Alcuni hanno segnato il mio nome perché era nella lista nella Pd. Molti altri perché hanno scelto Cofferati e di conseguenza la lista del partito».
I voti per l’europarlamento sono soprattutto “suoi” e non del Pd?
«Credo proprio di sì. Ma si chiede solo a Cofferati di lasciare il seggio, mentre in altri casi non c’è problema. Non si chiedono dimissioni da deputato, che ne so, per Gennaro Migliore eletto con Sel ma passato al Pd».
Eppure quando era sindaco di Bologna giurava che mai avrebbe lasciato la città per un seggio a Strasburgo.
«Ma quella fu una scelta personale. Volevo stare con la mia famiglia a Genova. L’allora segretario del Pd Franceschini mi offrì con insistenza l’eurocandidatura. Mi resi conto che, da Strasburgo, nei week end sarebbe stato più facile stare a Genova con i miei. E dissi di sì».