Ricordiamone solo alcune.
Il mercato dell’auto nel 2014
Intanto sono disponibili le informazioni relative all’andamento dei vari mercati nel mondo. Le vendite su quello europeo sono cresciute nel 2014 del 5,4%, con 13 milioni di auto vendute. Ma non c’è da brindare, il mercato è solo in leggera ripresa; nella sostanza è stata arrestata la caduta, ma siamo lontani dal ritornare alle cifre di prima della crisi. Hanno guadagnato posizioni la Nissan-Renault e la Volkswagen ( che controlla ormai più del 25% del mercato del continente). Come al solito, il gruppo Fca continua a perdere quote, dal momento che esso cresce soltanto del 3,5%, meno anche dell’aumento delle vendite sul mercato italiano (+4,2%).
Va bene il mercato cinese — dove si sono vendute 23,5 milioni di vetture-, di gran lunga ormai il più importante del mondo, anche se la crescita è stata inferiore a quella dell’anno precedente. Ma qui il gruppo Fca è sino ad oggi irrilevante.
Appare in salute anche il mercato Usa, dove si sono vendute 16,5 milioni di auto, il livello migliore dal 2006. Ma la crescita sembra vicina al capolinea, come scrive anche The Economist nel numero del 17 gennaio 2015. Sembra in via di esaurimento la domanda arretrata di sostituzione, con i consumatori che avevano per un certo numero di anni sospeso il rinnovo del parco per via della crisi; intanto i giovani sembrano sempre meno inclini a comprare un veicolo e le stesse auto durano fisicamente più di prima.
A questo punto i profitti accumulati negli anni scorsi, afferma sempre The Economist, potrebbero essere assorbiti nei prossimi anni, in un mercato in cui si dovrebbe registrare solo una crescita modesta, da un’aspra e costosa lotta concorrenziale.
Anche le prospettive dell’America Latina non appaiono brillanti, in particolare con le economie brasiliana e argentina (paesi nei quali la Fca ha un punto forte rilevante) in difficoltà.
L’occupazione del gruppo Fca in Italia
E’ di qualche giorno fa l’annuncio della creazione di nuovi 1500 posti di lavoro a Melfi, ormai ovviamente tutti precari. La notizia ha destato urla di entusiasmo tra i giornalisti di servizio, mentre è stata l’ennesima occasione per i sindacati padronali di attaccare la Fiom.
Il fatto appare certamente positivo, ma bisogna ricordare che a tutt’oggi la maggioranza dei lavoratori del gruppo Fca in Italia continua ad essere in cassa integrazione. Chi scrive pensa che, plausibilmente, nel corso dei prossimi anni una parte rilevante di questi dipendenti sarà riassorbita con l’avvio di nuovi modelli, ma che la promessa padronale di rioccupare di nuovo tutti è irrealistica e non sarà rispettata.
Intanto nei prossimi mesi si potrebbero aprire nuovi ed inediti scenari. Persistono le voci relative a possibili processi di fusione del gruppo con qualche altro protagonista della scena del settore; si parla, tra l’altro, di Psa e di Volkswagen. In tale caso tutto tornerebbe in discussione.
La banca
E veniamo infine alla finanza. La vecchia Sava era stata fondata nel 1925 per finanziare i clienti e i concessionari del gruppo e aveva poi esteso la sua attività anche ad altri marchi del settore. Nel 2003, nell’ambito di uno dei tanti progetti di ristrutturazione del gruppo, il 51% del suo capitale era stato ceduto ad alcune grandi banche nazionali, ma tre anni dopo gli Agnelli erano tornati in maggioranza. La notizia di questi giorni è che la Banca d’Italia ha concesso ad una società controllata in joint– venture dalla stessa Sava e da una finanziaria del Credit Agricole la licenza bancaria ed è nata così la Fca bank, che svolgerà la sua attività in 16 paesi. Non abbiamo notizie riservate sulla logica di tale mossa, ma i vantaggi per un gruppo come la Fca possono essere molteplici. Intanto, banalmente, avendo acquisito la licenza bancaria, l’azienda appena creata vale sul mercato molto di più della vecchia Sava; poi, per un gruppo a corto di denaro – come ha mostrato qualche tempo l’operazione di vampirizzazione finanziaria compiuta sulla Ferrari -, avere la possibilità di raccogliere depositi sul mercato e quella di ottenere finanziamenti sul circuito interbancario, nonché dalla stessa Bce, amplia evidentemente gli orizzonti operativi.
Nessuno sembra peraltro interrogarsi sulla opportunità di una tale mossa da parte della nostra banca centrale, in relazione in particolare ai conseguenti possibili intrecci perversi che possono così continuare a crescere tra industria e finanza.