Per il resto i giocatori principali, che sono due e non più di due, si studiano, vagheggiano strategie possibili. E i candidati veri fanno lo stesso. Renzi, per ora, si è limitato a bloccare la manovra tesa a «far emergere Prodi» nelle prime votazioni annunciando che ci sarà da subito un candidato del Pd. Di bandiera, salvo miracoli. Certo, se al prestigiatore di palazzo Chigi riuscisse il colpaccio di inventarsi un presidente tanto «di tutti» da passare nelle prime tre votazioni ne sarebbe lietissimo. Un figurone. Solo che quel candidato magico dovrebbe essere prima del Nazareno e poi di tutti gli altri, ed è una condizione proibitiva o giù di lì. Lo stesso Prodi, quando si nega come ha fatto ieri, invia in realtà un messaggio più ambiguo. «Non voglio più essere in mezzo a queste tensioni», in fondo, è solo un altro modo per dire che se qualcuno deciderà di lanciarlo nell’arena, non sarà certo stato lui a chiederlo, e dovrà quindi pensarci bene e fare sul serio. Proprio come Mario Draghi, del resto…
Se il miracolo non si realizzerà, come è quasi certo, Renzi ordinerà alla Direzione del partito chi deve liberamente indicare. Ma lo farà solo dopo la terza votazione, e non è affatto detto che si tratti di uno dei nomi che circolano da settimane. Per credere che l’uomo abbia del tutto rinunciato al sogno di un «presidente pupazzo» bisogna non conoscerlo. Nemmeno quando afferma, del resto in privato, di non volere al Colle un ex segretario di partito bisogna prendere alla lettera Matteo Renzi. Significa solo che non sarà un ex leader il candidato di bandiera. Caduto quello se ne riparla, e tutte le porte restano apertissime.
Berlusconi, da parte sua, insiste sul «candidato-centrista-non-di-sinistra», ma non bisogna farlo più ingenuo di quanto non sia. Questo martellamento iniziale gli serve solo per poter dire, quando si arrenderà alla illiberale imposizione di un nuovo capo dello Stato targato Pd, che il minimo è concedergli almeno di decidere lui con quale corda impiccarsi. E anche in questo caso non è affatto detto che dal cilindro di Arcore non salti fuori un qualche esponente del Pd al momento ancora in ombra.
Beppe Grillo, quando boccia Prodi e con lui praticamente tutti i papabili spuntati sui giornali, fa anche lui pretattica, ma fino a un certo punto. Un po’ lanciare Prodi, come vorrebbe la minoranza Pd, proprio mentre allestisce i banchetti anti-Euro non è facilissimo. Ma in misura anche maggiore Beppe e la sua creatura sono a un bivio. Da un lato c’è Casaleggio, che non vuole dirigere un partito, fosse pure il più intransigente e rivoluzionario, ma una bizzarra setta più vicina a Scientology che a qualunque altra formazione politica presente o passata. Dall’altro ci sono ormai parecchi parlamentari che un po’ di mestiere lo hanno imparato e di restare in panchina vita politica natural durante, in attesa dell’avvento della Rete, hanno poca voglia. Grillo sta in mezzo, e dalla scelta che farà dipenderà la sorte già pericolante del Movimento 5 Stelle.