Il primo sorriso di Greta e Vanessa Poi gli abbracci e le scuse ai genitori
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ROMA Hanno tenuto la testa china e coperta, riaggiustando più volte il cappuccio della felpa e la sciarpa davanti al viso. E il primo sorriso, al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che le aspettava alla scaletta dell’aereo, è stato sincero, ma veloce. A metà quello concesso, senza fermarsi, ai fotografi. Per Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, l’arrivo in Italia è stato senza concessioni ai flash. Con un portamento che, sulle prime, a chi le ricordava ragazze belle, dai lunghi capelli, spigliate e generose, ha fatto pensare a una svolta religiosa. In realtà i segni della lunga prigionia che gli esperti riconoscono come primo tratto comune a chi è appena tornato dall’inferno del terrore islamico.
Si sono strette l’una all’altra, sotto braccio, fino alla saletta dell’aeroporto di Ciampino dove hanno incontrato i familiari. Ci sono voluti i loro baci e gli abbracci prima di poter piangere e ridere, ringraziare e chiedere scusa. «È stata un’emozione fortissima — ha raccontato la mamma di Greta — ci siamo abbracciate, ci siamo abbracciati tutti, entrambe le famiglie. Mi ha chiesto scusa. Per tutto quello che ti ho fatto passare in questi mesi. Scusate tutti…».
L’angoscia, il dolore, le sofferenze subite in questi mesi le hanno raccontate dopo. Quando a Roma era già l’alba e loro sono state portate all’Ospedale militare del Celio per essere sottoposte a visite mediche. Sempre accompagnate dallo psicologo che è stato messo loro a disposizione, dal momento della liberazione. Poi un breve passaggio in albergo dove hanno tentato di riposare un po’ vegliate e coccolate dalle famiglie. «Non hanno subito violenze, non sono state picchiate e non hanno subito abusi, ma hanno dei traumi psicologici difficili da superare» hanno spiegato i familiari tenuti al silenzio sui dettagli che per 5 ore le due ragazze hanno raccontato ai magistrati nella caserma del Ros dei Carabinieri. Dove hanno conosciuto gli uomini che per mesi le hanno cercate. E dove hanno ricevuto conforto, incoraggiamenti e tè con i biscotti. Assieme alle raccomandazioni a non farlo mai più.
Serviranno? Chissà. Prima dell’interrogatorio ieri non escludevano di voler tornare là. Dopo ci hanno ripensato. Il fratello di Greta sorride alle telecamere e dice: «È una grande. Anche Vanessa». Lui conosce il cuore di sua sorella. E dell’amica di lei che l’anno scorso, avvolta in una bandiera della Siria in piazza Duomo, guidava una manifestazione dal titolo «Segui il tuo cuore». «Sono qui per quei bambini che non ci sono più — diceva — per tutti quei rifugiati. Cerco di essere la loro voce». Per lei era diventata una «questione personale» e si opponeva con forza sul web alla visione occidentale: «Li chiamano terroristi, senza neanche conoscerli. Il vero terrorista è Bashir Al Assad».
Il padre di Vanessa lo aveva spiegato perché non era riuscito a fermarla: «Cosa potevo fare? È maggiorenne, una ragazza d’oro, brava e responsabile. Ho cercato di convincerla in tutti i modi». Inutile. Come per Greta che, ha spiegato la mamma, «sin da piccola aveva una sensibilità speciale per chi aveva bisogno di aiuto». Poi però la Siria le ha tradite. Assieme a qualcuno che le stava a cuore. E l’aiuto è servito a lei.
Virginia Piccolillo
L’angoscia, il dolore, le sofferenze subite in questi mesi le hanno raccontate dopo. Quando a Roma era già l’alba e loro sono state portate all’Ospedale militare del Celio per essere sottoposte a visite mediche. Sempre accompagnate dallo psicologo che è stato messo loro a disposizione, dal momento della liberazione. Poi un breve passaggio in albergo dove hanno tentato di riposare un po’ vegliate e coccolate dalle famiglie. «Non hanno subito violenze, non sono state picchiate e non hanno subito abusi, ma hanno dei traumi psicologici difficili da superare» hanno spiegato i familiari tenuti al silenzio sui dettagli che per 5 ore le due ragazze hanno raccontato ai magistrati nella caserma del Ros dei Carabinieri. Dove hanno conosciuto gli uomini che per mesi le hanno cercate. E dove hanno ricevuto conforto, incoraggiamenti e tè con i biscotti. Assieme alle raccomandazioni a non farlo mai più.
Serviranno? Chissà. Prima dell’interrogatorio ieri non escludevano di voler tornare là. Dopo ci hanno ripensato. Il fratello di Greta sorride alle telecamere e dice: «È una grande. Anche Vanessa». Lui conosce il cuore di sua sorella. E dell’amica di lei che l’anno scorso, avvolta in una bandiera della Siria in piazza Duomo, guidava una manifestazione dal titolo «Segui il tuo cuore». «Sono qui per quei bambini che non ci sono più — diceva — per tutti quei rifugiati. Cerco di essere la loro voce». Per lei era diventata una «questione personale» e si opponeva con forza sul web alla visione occidentale: «Li chiamano terroristi, senza neanche conoscerli. Il vero terrorista è Bashir Al Assad».
Il padre di Vanessa lo aveva spiegato perché non era riuscito a fermarla: «Cosa potevo fare? È maggiorenne, una ragazza d’oro, brava e responsabile. Ho cercato di convincerla in tutti i modi». Inutile. Come per Greta che, ha spiegato la mamma, «sin da piccola aveva una sensibilità speciale per chi aveva bisogno di aiuto». Poi però la Siria le ha tradite. Assieme a qualcuno che le stava a cuore. E l’aiuto è servito a lei.
Virginia Piccolillo
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