«L’Isis ha ucciso il pilota giordano Fallito il blitz Usa per liberarlo»

«L’Isis ha ucciso il pilota giordano Fallito il blitz Usa per liberarlo»

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Un’altra missione delle forze speciali americane in Siria pare essersi conclusa in un fallimento e nella morte dell’ostaggio che avrebbero dovuto liberare. Secondo le informazioni raccolte ieri dall’Ansa e da alcuni social media siriani, sembrerebbe che durante il blitz dell’aviazione Usa, nella notte tra giovedì e venerdì, sia rimasto ucciso Muadh al-Kassasbe, il pilota giordano 26enne il cui aereo era caduto il 24 dicembre nelle vicinanze della cittadina di Raqqa, la roccaforte dello Stato Islamico (Isis) in Siria.
La notizia ieri sera non era confermata dall’Isis e nessuna immagine del pilota è stata diffusa nelle ultime ore. Al contrario, sui siti jihadisti è annunciata la sua esecuzione per decapitazione entro la giornata di oggi. Sino a due giorni fa le autorità di Amman lasciavano trapelare la possibilità di una trattativa in atto per la sua liberazione in cambio di alcuni pericolosi jihadisti rinchiusi nelle carceri giordane. Eppure, le informazioni delle fonti a Raqqa dell’ Ansa sono corroborate dalla conferma di massici bombardamenti della coalizione internazionale guidata dal Pentagono.
Alcune fonti parlano di «23 raid in poche ore». Parrebbe che proprio approfittando del caos provocato dai bombardamenti, cinque caccia americani abbiano sorvolato a bassa quota tirando razzi contro almeno due possibili luoghi ove potrebbe essere rinchiuso il pilota assieme forse ad altri ostaggi occidentali: il primo sarebbe una ventina di chilometri a est di Raqqa, l’altro nel carcere nell’area di Alekershi, in direzione della cittadina di Deyr Az Zor. Due elicotteri carichi di teste di cuoio avrebbero cercato di atterrare presso i covi di Isis, ma sarebbero stati costretti a riprendere quota a causa della forte reazione di armi pesanti da terra. Anche l’edizione araba di Al Jazeera conferma l’operazione.
Alcuni attivisti di Isis twittano che il pilota sarebbe stato decapitato mentre l’attacco americano era in corso e che un video sarà «diffuso molto presto».
Se tutto ciò fosse confermato, sarebbe questa l’ennesima riprova dell’alto grado di rischio corso dagli ostaggi nelle mani di jihadisti armati nel caso si cerchi di liberarli con la forza militare. È un copione che si ripete con conseguenze spesso tragiche, dalla Somalia dei primi anni Novanta all’Afghanistan, l’Iraq e la Siria. Qui, lo scorso due luglio, le teste di cuoio Usa assieme a unità giordane attaccarono una base di Isis non lontano da Raqqa, nota come «Campo Osama Bin Laden», dove si riteneva fossero tenuti prigionieri due dozzine di occidentali. Il blitz fu accompagnato anche allora da importanti bombardamenti diversivi. Ma i commando trovarono gli edifici vuoti. Ne seguì una furiosa battaglia durata quattro ore, che causò la morte di almeno cinque jihadisti. Poco più di un mese dopo, Isis iniziò le decapitazioni degli ostaggi. I primi furono in sequenza temporale i giornalisti americani James Foley, seguito un paio di settimane dopo dal connazionale Steven Sotloff, quindi dai cooperanti britannici Peter Kassig e David Haines. Uno scenario simile si è ripresentato nello Yemen agli inizi di dicembre, dove il raid lanciato da tre dozzine di Navy Seals (il fior fiore dei commando Usa) per cercare di liberare il fotogiornalista americano Luke Somers e il sudafricano Pierre Korkie si concluse in tragedia. La banda di qaedisti, che li aveva rapiti un anno prima nel centro di Sana, sparò loro a bruciapelo.
In Siria l’esistenza degli ostaggi è particolarmente penalizzata dalla violenza brutale che dal 2011 non fa che peggiorare. Due giorni fa l’Osservatorio per i diritti umani in Siria, che da Londra monitora il Paese, riportava che il 2014 è stato l’anno peggiore dallo scoppio della guerra civile nella primavera-estate 2011: in dodici mesi i morti sarebbero stati oltre 76.000, di cui 17.790 civili (inclusi 3.501 bambini). La situazione si sarebbe deteriorata con l’espansione di Isis, la dinamica belligerante innescata dai bombardamenti della coalizione a guida Usa e la ripresa delle azioni da parte dell’esercito fedele a Bashar Assad.
Lorenzo Cremonesi


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