Norman Atlantic. «C’era chi picchiava per salvarsi»
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Alle 14.50 di ieri l’ultimo a essere salvato è stato lui, il comandante. Si sono chiuse così, con il recupero di Argilio Giacomazzi, le oltre trentadue ore di soccorsi nel Canale d’Otranto nel mare in burrasca e con una nave di 186 metri quasi tutta annerita dall’incendio divampato poco dopo aver lasciato il porto ellenico di Igoumenitsa.
A continuare, anche di notte, sono state le ricerche dei dispersi. Perché è questa ormai la questione che tiene banco: il bilancio delle vittime. I morti accertati, fino a tarda notte, erano dieci, secondo la Capitaneria di porto. Ma rischiano di non essere gli unici. All’appello ne mancherebbero una quarantina.
Sulla lista di imbarco — ha chiarito ieri Palazzo Chigi — i passeggeri erano 478, ma alcuni dei nomi delle persone salvate non figuravano. Clandestini? Due dei sopravvissuti — di nazionalità afghana — di sicuro. Ma potrebbero essercene altri. Toccherà ora a Patrasso, il porto d’imbarco della nave, verificare la corrispondenza delle liste. «I numeri sono ballerini», spiega il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi. «Le persone salvate sono 427, tra cui 56 membri dell’equipaggio e tra questi ultimi 22 italiani». Al sicuro anche gli altri 22 connazionali, passeggeri, sui 44 totali registrati sul traghetto.
Una vicenda drammatica che dovrà essere chiarita in almeno un paio di punti. Il primo: quante persone, appunto, stavano viaggiando. Il secondo: cosa non ha funzionato a bordo, dallo scoppio dell’incendio alle fasi di abbandono della nave. Perché diversi passeggeri, oltre a lamentare la presenza di gasolio per terra, hanno anche raccontato di problemi nella fase successiva all’incendio. «Nessuno ha dato l’allarme, nessuna comunicazione, nessuno ci ha detto cosa fare e dove andare — denuncia Tzonas Athanasios, commerciante greco di 47 anni, in viaggio con moglie e figli verso la Germania —. Da soli siamo saliti e abbiamo indossato i giubbotti salvagente».
L’unica certezza è che si è trattato di un’operazione «storica», come la definisce Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina militare italiana. Non soltanto per i risultati e il coordinamento, ma anche per i mezzi impiegati: 12 elicotteri, due aerei, un velivolo pattugliatore Atlantic, tre motovedette, una nave anfibia (la San Giorgio), un cacciatorpediniere, cinque rimorchiatori, nove navi mercantili. «Un intervento così ricco di passione, dedizione e tenacia — commenta il premier, Matteo Renzi — che ha consentito di evitare una vera e propria ecatombe».
In serata il ministero dei Trasporti ha fatto sapere che «la nave è stata posta sotto sequestro». E che le due magistrature — italiana e albanese — «sono in contatto per decidere in quale porto verrà rimorchiata».
«I passeggeri si scavalcavano tra di loro, urlavano e si strappavano di mano la fune», racconta Fernando Rollo, 54 anni, uno degli aerosoccorritori scesi sul Norman Atlantic per gestire l’evacuazione. «Appena la cesta o il verricello calavano sul ponte mille mani assalivano l’imbracatura. Per cercare di mettere in salvo prima i bambini, le donne, gli anziani e i feriti ho minacciato di andarmene e lasciarli lì».
«Tutti si pestavano l’un l’altro per salire sull’elicottero», conferma all’ Associated Press Christos Perlis, camionista greco di 32 anni. «Assieme ad altri abbiamo cercato di fare ordine, ma gli uomini hanno cominciato a colpirci per poter entrare per primi».
Più a Est, sulle coste albanesi, le forze dell’ordine trascorrono la giornata alla ricerca di corpi. Il tutto sotto gli occhi di diversi curiosi arrivati per guardare il Norman Atlantic, visibile all’orizzonte, e di alcuni bambini che giocano su due delle scialuppe di salvataggio alla deriva usate per fuggire dall’imbarcazione in fiamme.
La seconda giornata si chiude con il volto annerito di Nick Channing-Williams e la sicurezza di Paolo Papi. Il primo è un naufrago inglese. Il secondo è un capitano pilota dell’Aeronautica che l’ha portato sano a terra. Si sono fatti fotografare insieme. Sorridono. Dopo la paura e la fatica.
Leonard Berberi
Sulla lista di imbarco — ha chiarito ieri Palazzo Chigi — i passeggeri erano 478, ma alcuni dei nomi delle persone salvate non figuravano. Clandestini? Due dei sopravvissuti — di nazionalità afghana — di sicuro. Ma potrebbero essercene altri. Toccherà ora a Patrasso, il porto d’imbarco della nave, verificare la corrispondenza delle liste. «I numeri sono ballerini», spiega il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi. «Le persone salvate sono 427, tra cui 56 membri dell’equipaggio e tra questi ultimi 22 italiani». Al sicuro anche gli altri 22 connazionali, passeggeri, sui 44 totali registrati sul traghetto.
Una vicenda drammatica che dovrà essere chiarita in almeno un paio di punti. Il primo: quante persone, appunto, stavano viaggiando. Il secondo: cosa non ha funzionato a bordo, dallo scoppio dell’incendio alle fasi di abbandono della nave. Perché diversi passeggeri, oltre a lamentare la presenza di gasolio per terra, hanno anche raccontato di problemi nella fase successiva all’incendio. «Nessuno ha dato l’allarme, nessuna comunicazione, nessuno ci ha detto cosa fare e dove andare — denuncia Tzonas Athanasios, commerciante greco di 47 anni, in viaggio con moglie e figli verso la Germania —. Da soli siamo saliti e abbiamo indossato i giubbotti salvagente».
L’unica certezza è che si è trattato di un’operazione «storica», come la definisce Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina militare italiana. Non soltanto per i risultati e il coordinamento, ma anche per i mezzi impiegati: 12 elicotteri, due aerei, un velivolo pattugliatore Atlantic, tre motovedette, una nave anfibia (la San Giorgio), un cacciatorpediniere, cinque rimorchiatori, nove navi mercantili. «Un intervento così ricco di passione, dedizione e tenacia — commenta il premier, Matteo Renzi — che ha consentito di evitare una vera e propria ecatombe».
In serata il ministero dei Trasporti ha fatto sapere che «la nave è stata posta sotto sequestro». E che le due magistrature — italiana e albanese — «sono in contatto per decidere in quale porto verrà rimorchiata».
«I passeggeri si scavalcavano tra di loro, urlavano e si strappavano di mano la fune», racconta Fernando Rollo, 54 anni, uno degli aerosoccorritori scesi sul Norman Atlantic per gestire l’evacuazione. «Appena la cesta o il verricello calavano sul ponte mille mani assalivano l’imbracatura. Per cercare di mettere in salvo prima i bambini, le donne, gli anziani e i feriti ho minacciato di andarmene e lasciarli lì».
«Tutti si pestavano l’un l’altro per salire sull’elicottero», conferma all’ Associated Press Christos Perlis, camionista greco di 32 anni. «Assieme ad altri abbiamo cercato di fare ordine, ma gli uomini hanno cominciato a colpirci per poter entrare per primi».
Più a Est, sulle coste albanesi, le forze dell’ordine trascorrono la giornata alla ricerca di corpi. Il tutto sotto gli occhi di diversi curiosi arrivati per guardare il Norman Atlantic, visibile all’orizzonte, e di alcuni bambini che giocano su due delle scialuppe di salvataggio alla deriva usate per fuggire dall’imbarcazione in fiamme.
La seconda giornata si chiude con il volto annerito di Nick Channing-Williams e la sicurezza di Paolo Papi. Il primo è un naufrago inglese. Il secondo è un capitano pilota dell’Aeronautica che l’ha portato sano a terra. Si sono fatti fotografare insieme. Sorridono. Dopo la paura e la fatica.
Leonard Berberi
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