Il governo delle classi pericolose
Frontiere blindate, limitazione della mobilità, costruzione di «zone di contenimento» dove sono spesso sospesi i diritti individuali. Le epidemie sono gli effetti collaterali che negano uno dei presupposti della globalizzazione: la più assoluta libertà di movimento di uomini e donne. Che questo non fosse vero, lo aveva già testimoniato l’esistenza dei centri di detenzione provvisoria per migranti. La recente fiammata di Ebola — era già accaduto in forma minore con la Sars — attesta però che le pandemie sono sinonimo di limitazione delle libertà individuali, indipendentemente dalla gravità del contagio. Con Ebola le tanto sbandierate «politiche della vita» celano una deriva normativa in vista di una soffocante società del controllo sociale dove l’emergenza è ormai la normalità.
Le epidemie sono infatti l’emblema delle strategie nazionali e internazionali a fronteggiare rischi imprevisti. Ebola è conseguenza di un virus mutante che non conosce confini e che per circoscriverlo sono messe in campo misure draconiane per impedirne la diffusione. È una delle conseguenze impreviste della globalizzazione, che vede manifestarsi fenomeni sociali e culturali che divengono modelli di intervento politico teso a limitare appunto la libertà individuale. Non è un caso che le consuetudini alimentari divengono l’oggetto di politiche sanitarie a livello globale. L’obesità, il fumo, il consumo di alcool sono manifestazioni di nuove «abitudini» che trovano spiegazione nelle disuguaglianze sociali indotte dalla globalizzazione. Obesi sono i «poveri» che assumono alimenti a basso conto, ma ad alto contenuto di grassi; la maggioranza dei tabagisti vivono nelle periferie dell’impero; l’alcolismo è da sempre prerogativa dei «senza voce». Al di là dei brutali dati statistici, tutto questo è trattato come specifiche epidemie da fronteggiare con ferre politiche sanitarie tese a impedirne la diffusione. Politiche, tuttavia, che sono lo sfondo di un «governo» autoritario delle « classi pericolose » che vedono solo da lontano i ricchi banchetti del 1 per cento che, come in passato, si appropriano delle ricchezze prodotte dal restante 99% della popolazione.
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