Napo­li­tano fa partire la corsa

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« Napo­li­tano per dimet­tersi aspetta le riforme, dopo anni di chiac­chiere final­mente ci siamo». È una dichia­ra­zione di capo­danno di Mat­teo Renzi, ma del capo­danno pas­sato. Andrebbe bene ancora oggi, quando per la prima volta il capo dello stato parla delle sue dimis­sioni «immi­nenti». Gior­gio Napo­li­tano incon­tra gli amba­scia­tori accre­di­tati in Ita­lia, replica gli elogi di mar­tedì al governo — «ampio e corag­gioso sforzo per eli­mi­nare alcuni nodi e cor­reg­gere taluni mali anti­chi» — e con un agget­tivo stringe l’orizzonte davanti a sé: «La con­clu­sione del mio man­dato è immi­nente». Venti mesi fa aveva accolto il rein­ca­rico chia­rendo che sarebbe stato a ter­mine, il ter­mine lo avrebbe sta­bi­lito lui. Due set­ti­mane fa ha rispo­sto alle indi­scre­zioni con­fer­mando l’intenzione di lasciare in tempi stretti. Ieri ha aggiunto l’ultimo indi­zio: è certo che le dimis­sioni non ci saranno prima del 13 gen­naio (ter­mine del seme­stre ita­liano di pre­si­denza euro­pea), tutto lascia pen­sare che non arri­ve­ranno oltre la fine di gennaio.

In quell’intervallo di due set­ti­mane o poco più, al quale aggiun­gere i giorni neces­sari per con­vo­care la prima seduta comune del par­la­mento e dei dele­gati che nel frat­tempo andranno scelti dai con­si­gli regio­nali, Renzi vuole infi­lare il dop­pio colpo. «Il timing è chiaro — uffi­cia­lizza il vice segre­ta­rio del Pd Gue­rini — abbiamo il mese di gen­naio per fare sia la riforma costi­tu­zio­nale che la legge elet­to­rale». Quanto alla prima, la camera entrerà nel vivo l’8 gen­naio, con i primi voti. Ieri in un’aula semi­vuota — al punto che man­ca­vano anche due rela­tori di mino­ranza su tre, assenti il gril­lino e il leghi­sta è inter­ve­nuto solo il depu­tato di Sel — sono state liqui­date le pre­giu­di­ziali di inco­sti­tu­zio­na­lità e rin­viato l’esame degli emen­da­menti. La seconda, la riforma elet­to­rale, ripren­derà domani ancora in com­mis­sione al senato, ma è già scritto che la mag­gio­ranza chiu­derà sul nascere la sede refe­rente, impo­nendo il pas­sag­gio in aula senza l’esame degli emen­da­menti. L’obiettivo è «incar­di­nare» la legge a dicem­bre, e dal momento che lunedì tanti sena­tori potreb­bero pen­sare di anti­ci­pare le vacanze, per non rischiare nulla la con­fe­renza dei capi­gruppo può addi­rit­tura deci­dere, oggi stesso, uno scippo imme­diato del testo alla com­mis­sione. Subito in aula. A marzo, quando alla camera fu fatta la stessa for­za­tura sulla stessa legge, i gril­lini sca­te­na­rono la guer­ri­glia e occu­pa­rono aula e commissione.

Si corre allora, anche adesso che l’argomento reto­rico ori­gi­na­rio — «si chiac­chiera di riforme da anni» — fini­sce in secondo piano. Lasciando il posto a un altro obiet­tivo: si corre per anti­ci­pare con le riforme la data in cui biso­gnerà comin­ciare a votare per il suc­ces­sore di Napo­li­tano. Renzi non può arri­varci essendo sco­perto sul fianco delle riforme, rischie­rebbe di dover cedere troppo all’avversario-alleato Ber­lu­sconi e agli alleati-avversari del suo par­tito. La chiave per otte­nere il via libera almeno al senato sta­rebbe in un ultimo arti­colo da aggiun­gere al testo dell’Italicum, una clau­sola di entrata in vigore della nuova legge elet­to­rale non prima dell’autunno 2016. La clau­sola ras­si­cu­re­rebbe non solo Ber­lu­sconi, ma anche il nutrito par­tito di chi, più che al suc­cesso o all’insuccesso di Renzi, sta pen­sando alla durata del suo man­dato par­la­men­tare. La solu­zione potrà anche essere un capo­la­voro di tat­tica del pre­si­dente del Con­si­glio, ma lascia aperto più di un dub­bio di legit­ti­mità: non era una legge tanto attesa e urgente, addi­rit­tura neces­sa­ria dopo che ampie parti di quella vigente sono state can­cel­late dalla Con­sulta? E non risul­te­rebbe limi­tato, dalla clau­sola di rin­vio, il potere del nuovo capo dello stato di scio­gliere le camere? E poi la clau­sola non potrebbe essere supe­rata, magari per decreto, se Renzi deci­desse di ripensarci?

Vista così, la corsa di que­sti giorni in par­la­mento diventa per­sino para­dos­sale. È il governo a sta­bi­lire che la legge elet­to­rale non sarebbe uti­liz­za­bile prima dell’autunno 2016, rea­li­sti­ca­mente dun­que prima di even­tuali ele­zioni nella pri­ma­vera 2017. La riforma della costi­tu­zione, poi, una volta appro­vata dalla camera avrebbe davanti almeno altri tre pas­saggi in par­la­mento, gli ultimi due dopo la pausa di rifles­sione di tre mesi. E dopo ancora il refe­ren­dum. Dun­que pariamo anche in que­sto caso del 2017. Man­cano due anni e mezzo. Non si vede il senso di cor­rere adesso, a natale, né di pre­pa­rarsi a cor­rere ancora di più dopo la befana. O almeno, non si vede fuori da palazzo Chigi.



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