L’inviato mondiale per il clima: «Abbiamo i mezzi per salvarci»

L’inviato mondiale per il clima: «Abbiamo i mezzi per salvarci»

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PARIGI I rappresentanti dei 195 Paesi riuniti a Lima, in Perù, sono costretti a prolungare le discussioni della XX Conferenza Onu sul clima: trovare un’intesa, anche interlocutoria, è difficile perché si è riprodotta la tradizionale spaccatura tra Nord e Sud.
L’attenzione si sposta allora verso Parigi, che nel dicembre 2015 ospiterà la Conferenza numero XXI, da tempo considerata cruciale. Il presidente François Hollande ne ha fatto uno dei momenti fondamentali del suo mandato, l’ambizione è firmare il primo accordo universale sul clima per mantenere il riscaldamento climatico entro il limite di 2 gradi. L’uomo scelto da Hollande come «inviato speciale per la protezione del Pianeta» con il compito di preparare Parigi 2015 è Nicolas Hulot, 59 anni, ex giornalista e star della tv, da decenni impegnato in difesa dell’ambiente. Lo incontriamo nel suo ufficio, all’Eliseo.
Come si sta muovendo per fare in modo che Parigi 2015 sia diversa da Lima 2014?
«La conferenza di Lima era chiamata a esprimere al massimo una bozza di testo, sapendo che la firma del primo accordo vincolante sul riscaldamento climatico è prevista a Parigi. Già domani sarò a Roma per incontrare il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, perché sto cercando di mobilitare le autorità religiose di tutte le confessioni. Papa Francesco ha appena lanciato un appello, a inizio 2015 è prevista un’enciclica sull’ambiente e poi ci sarà il viaggio del Pontefice in Francia. Sono tappe importanti in vista di dicembre 2015. A Roma incontrerò anche le autorità italiane, l’Italia ha giocato un ruolo importante come presidente dell’Unione Europea nell’approvazione del pacchetto clima-energia. E poi visiterò l’ambasciata francese a Palazzo Farnese, la prima a diventare “verde” riducendo il proprio impatto ambientale».
Perché Parigi 2015 sarà più cruciale rispetto alle conferenze precedenti?
«Perché abbiamo già perso vent’anni, e perché rispetto a Copenaghen 2009, per esempio, tutto è cambiato: non ci sono più dubbi sul riscaldamento climatico e, soprattutto, ormai abbiamo anche i mezzi per porre rimedio».
Quali sono?
«In tutti i campi, dalle aziende ai privati, c’è una innovazione tale che i costi delle energie rinnovabili si abbassano e il rendimento energetico aumenta. Poi, in Europa, potremmo legare gli investimenti del piano Juncker (300 miliardi) alla nuova economia verde».
Per mantenere il limite dei due gradi, secondo gli esperti Onu, bisognerebbe rinunciare al 70 per cento delle energie fossili. È possibile?
«Oggi sì. La tecnologia ce lo consente e, quanto alla politica, potremmo progressivamente eliminare gli aiuti a quell’industria. La comunità internazionale sovvenziona le energie fossili con 650 miliardi di dollari l’anno. Il costo delle catastrofi climatiche è stimato in 450 miliardi l’anno. Se sommiamo le due cifre, abbiamo una spesa di 1.100 miliardi, quando ne basterebbero 100 per la transizione energetica. Poi, le commesse pubbliche, che rappresentano il 15-20% del totale mondiale, dovrebbero andare sempre a energie non fossili, trainando così tutta l’economia».
Chi ha ragione tra Nord e Sud del mondo?
«Alcuni Paesi africani e latini sostengono che il problema è stato creato dal Nord, e spetta a esso risolverlo. Ma da un lato ormai Europa e Usa fanno molto, e dall’altro anche il Sud ha interesse a evitare le catastrofi climatiche. L’India poi dice di avere altre priorità. Ma qualsiasi altra priorità è fuori portata se non fermiamo il riscaldamento climatico».


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