Scio­pero. Sindacati-governi, il conflitto è globale

Scio­pero. Sindacati-governi, il conflitto è globale

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«Il voto popo­lare ha dato al par­tito del primo mini­stro una ampia mag­gio­ranza ma fin dall’inizio il nuovo governo si è mosso prin­ci­pal­mente per aiu­tare i datori di lavori a fare quello che vogliono nelle loro imprese», «le misure del governo, che esclu­dono dalle tutele un gran numero di lavo­ra­tori, peg­gio­re­ranno il livello di vita della gente comune, aumen­te­ranno la disu­gua­glianza e l’insicurezza, i più ric­chi saranno avvan­tag­giati men­tre per i più poveri sarà sem­pre più dif­fi­cile arri­vare a fine mese. Chie­diamo al primo mini­stro di riti­rare que­ste ingiu­ste e dan­nose riforme e aprire un auten­tico dia­logo con il movi­mento sin­da­cale indiano».

Anche se alcuni avranno pen­sato a dichia­ra­zioni di sin­da­ca­li­sti ita­liani, stiamo invece par­lando dell’India dove il 5 dicem­bre scorso milioni di lavo­ra­tori hanno par­te­ci­pato allo scio­pero gene­rale indetto dal «Joint Action Com­mit­tee» , una coa­li­zione che riu­ni­sce tutte le cen­trali sin­da­cali del paese, da quelle di sini­stra a quelle di destra. Grandi mani­fe­sta­zioni si sono svolte a Delhi, Mum­bai, Kol­kata, Chen­nai, e nelle altre prin­ci­pali città della «più grande e popo­losa demo­cra­zia del mondo».

Secondo i sin­da­cati pro­mo­tori, i lavo­ra­tori indiani hanno dato prova di di una forte unità di classe, dimo­stran­dosi pronti a sfi­dare il modello eco­no­mico neo-liberista del governo Modi, il cosid­detto Modi­no­mics, da lui spe­ri­men­tato come gover­na­tore del Guja­rat, che pre­vede una dose mas­sic­cia di pri­va­tiz­za­zioni e di dere­go­la­men­ta­zione, più pre­ca­rietà e meno pro­te­zione. I sin­da­cati hanno pre­sen­tato al governo una piat­ta­forma in 10 punti fra cui: difesa della attuale legi­sla­zione sul lavoro, un sala­rio minimo nazio­nale equi­va­lente a 160 dol­lari al mese; coper­tura pen­sio­ni­stica e di sicu­rezza sociale per tutti i lavo­ra­tori; crea­zione diretta di occu­pa­zione e con­trollo dei prezzi.

Il 29 novem­bre in 52 città della Spa­gna com­ples­si­va­mente un milione di per­sone sono scese in piazza nella gior­nata di «mobi­li­ta­zione per la Dignità e i Diritti» che ha chiuso la set­ti­mana di lotta con­vo­cata dalla «Cum­bre Social», una piat­ta­forma com­po­sta da oltre cen­to­cin­quanta asso­cia­zioni e movi­menti della società civile, col­let­tivi, orga­niz­za­zioni sociali e sin­da­cali fra cui le tre prin­ci­pali con­fe­de­ra­zioni spa­gnole CC.OO. UGT e USO.

Al cen­tro della pro­te­sta il cam­bio delle poli­ti­che eco­no­mi­che e della riforma del lavoro del Governo Rajoy, impo­ste dalla troika alla Spa­gna come con­di­zione per l’erogazione dei cosid­detti aiuti euro­pei. Fra le prin­ci­pali riven­di­ca­zioni della mobi­li­ta­zione: nuove poli­ti­che per l’occupazione e per la casa, red­dito minimo, salari digni­tosi, pro­te­zioni sociali per la disoc­cu­pa­zione, rilan­cio degli inve­sti­menti e dei ser­vizi pub­blici, difesa delle libertà sin­da­cali e la can­cel­la­zione della «legge di Sicu­rezza Civica» che si è rive­lata uno stru­mento di cri­mi­na­liz­za­zione delle lotte sociali e sin­da­cali, met­tendo sotto pro­cesso penale o ammi­ni­stra­tivo cen­ti­naia di sin­da­ca­li­sti e atti­vi­sti sociali.

Vale ricor­dare che le riforme eco­no­mi­che e del lavoro del governo di destra spa­gnolo sono state le più dra­sti­che dopo quelle adot­tate in Gre­cia. Il 60 per­cento dei gio­vani spa­gnoli è oggi disoc­cu­pato, milioni di per­sone sono in con­di­zioni di povertà o di esclu­sione sociale, e i salari, in par­ti­co­lare per i lavo­ra­tori pre­cari, si sono ridotti fino al 20% per­cento rispetto al livello del 2008.

Lunedì 15 dicem­bre ci sarà anche in Bel­gio uno scio­pero gene­rale, pro­cla­mato dalle tre Cen­trali sin­da­cali bel­ghe (la socia­li­sta FGTB/ABVV, la cri­stiana ACVCSC/ACLVB la libe­rale ABVV/CGSLB). I sin­da­cati belgi ave­vano già mani­fe­stato il 6 novem­bre scorso a Bru­xel­les dove erano scese in piazza oltre cen­to­mila per­sone, e dove c’erano stati anche scon­tri con alcuni gruppi di manifestanti.

L’ultimo scio­pero gene­rale in Bel­gio risale però a quasi tre anni fa nel gen­naio 2012, quando l’obiettivo erano i tagli al bilan­cio del governo socia­li­sta Di Rupo. Anche in que­sto caso l’obiettivo della mobi­li­ta­zione sono le misure prese dal nuovo governo, in que­sto caso di centro-destra, in appli­ca­zione della con­sueta ricetta neo libe­ri­sta fatta di tagli alla spesa sociale, ridu­zione di salari e pen­sioni, attacco ai diritti sin­da­cali e del lavoro. Una ricetta che osses­si­va­mente viene ripro­po­sta uguale ovun­que a dispetto del suo evi­dente fal­li­mento nel dare rispo­sta alla reces­sione eco­no­mica in cui si trova ormai tutta l’Europa.

Le misure più con­te­state sono: l’innalzamento dell’età pen­sio­na­bile a 67 anni; l’abolizione del mec­ca­ni­smo di ade­gua­mento dei salari all’inflazione; il blocco di due anni dei salari; l’aumento della pres­sione fiscale sui lavo­ra­tori, i tagli ai ser­vizi pub­blici e alla spesa sociale e le pri­va­tiz­za­zioni. Ed è pro­prio il rifiuto della logica dei tagli alla spesa sociale, per­ce­pita come insop­por­ta­bile e ingiu­sta, una delle moti­va­zioni più forti di que­sta mobi­li­ta­zione: «La gente ormai nasce con i tagli e muore con i tagli — dice il Segre­ta­rio del sin­da­cato socia­li­sta ABVV/FGTB Ruidi De Leeuw — il nostro dovere morale è orga­niz­zare la resi­stenza. Non c’è alternativa».

C’è una impres­sio­nante omo­ge­neità in Europa nelle poli­ti­che con cui le isti­tu­zioni finan­zia­rie e le classi diri­genti respon­sa­bili della crisi finan­zia­ria glo­bale ne sca­ri­cano il costo sui lavo­ra­tori e sui bilanci pub­blici.
E poi­ché è dif­fi­cile con­vin­cere lavo­ra­tori, gio­vani e pen­sio­nati che devono essere loro a pagare il costo della crisi, allora occorre ini­bire loro la capa­cità di rea­zione e di resi­stenza: inde­bo­lire il sin­da­cato e limi­tare il diritto di scio­pero diven­tano così un aspetto essen­ziale delle poli­ti­che neo­li­be­ri­ste, di attacco ai salari e alla spesa sociale. Nel resto del mondo pare che lo abbiano capito anche tutti i sin­da­cati, e in Italia ?

* Respon­sa­bile Uffi­cio Inter­na­zio­nale Fiom-Cgil



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