La protesta di Google
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Google ha preferito non commentare l’anticipazione del Corriere anche se fonti informali fanno sapere che non si è trattato di una decisione facile da prendere. La mossa è una reazione diretta alla nuova legge sul copyright votata dal parlamento spagnolo che «obbliga» gli editori a pretendere il pagamento di una royalty per la pubblicazione anche solo di un estratto, proprio quello che fa Google News che prende titoli e attacchi dei pezzi (i cosiddetti cribsheet ) per poi reindirizzare l’utente al sito dell’editore. La posizione della società californiana su questo punto sarebbe irremovibile: Google News non vive di pubblicità, è un servizio «offerto» agli editori — meglio sarebbe dire ai propri utenti — e dunque non sarebbe nella posizione di pagare alcunché. Segnale chiaro. Google, che finora aveva deciso di chiudersi nel classico arrocco, parte in attacco a poche settimane dal voto del Parlamento Ue sulla proposta di dividere le attività commerciali da quelle del motore di ricerca. Inoltre anche la Gran Bretagna ha appena annunciato la propria versione di una «Google tax».
La domanda che a questo punto si porranno tutti è: quale sarà il prossimo Paese? Probabilmente la società guidata dal fondatore Larry Page avrà già pianificato una strategia diplomatica per non superare il punto di rottura e si attende che, come è accaduto durante il dibattito in Spagna sulla legge, a protestare siano soprattutto i piccoli editori che senza Google News scompariranno. Ma il tema riguarda tutti: la trasformazione delle abitudini di lettura sta facendo sì che molti lettori arrivino dal motore di ricerca o dai social network come Facebook. In Germania dove è stata introdotta una legge molto simile a quella spagnola, senza però la clausola dell’irrinunciabilità da parte degli editori, si naviga per ora sulla linea di galleggiamento. La questione, possiamo esserne certi, non finirà oggi in Spagna. Anzi, siamo solo all’inizio.
Massimo Sideri
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