La tentazione di Renzi, sfondare il tetto del 3%

La tentazione di Renzi, sfondare il tetto del 3%

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Può darsi che la «questione romana» abbia influito davvero sui giudizi negativi delle agenzie finanziarie internazionali sull’Italia. La diffidenza, però, appare più ramificata: va oltre le inchieste giudiziarie sulle infiltrazioni mafiose nella capitale. E riguarda il timore europeo di una virata nella politica economica del governo di Matteo Renzi da qui a marzo. Da settimane, spiega un esponente del governo, Palazzo Chigi sta analizzando una serie di misure da prendere se alla fine del prossimo trimestre ci fosse l’ennesimo segno meno davanti ai dati sul Pil. In quel caso, la tentazione è di andare allo sfondamento del tetto del 3 per cento, senza aspettare una procedura di infrazione dell’Ue.
L’idea che si sta accarezzando di fronte a uno scenario di recessione continuata è quella di cambiare rotta: estendere il bonus degli 80 euro al mese a pensionati e lavoratori autonomi; e impostare un piano triennale di investimenti sociali. La prima misura, si calcola, costerebbe 10 miliardi di euro. Il piano di interventi varrebbe tra i 40 ed i 50 miliardi l’anno. Sono scenari,non decisioni: progetti preparati in previsione di uno stallo ritenuto ormai insostenibile; e nell’ipotesi che il piano di finanziamenti di Jean-Claude Juncker, quando arriverà, non basti. Significherebbe tentare di rianimare l’economia con un’iniezione di denaro pubblico: a costo di un’impennata della spesa e del debito, e di affrontare la reazione dei mercati finanziari. «Si tratterebbe di spiegare che non spendiamo tanto per spendere, ma perché è l’unico modo per ripartire» si fa presente. «E offriremmo garanzie».
D’altronde, si va facendo strada l’idea che la lunga sequela di dati negativi richieda una sterzata: anche se per ora si segue con determinazione la politica di sempre. Il governo replica alle critiche della Commissione europea, dell’Eurogruppo che riunisce i ministri economici della moneta unica, e inopinatamente della Germania. Ieri la Commissione ha bacchettato la Francia, chiedendole entro marzo una manovra correttiva per riempire quello 0,5 per cento di scarto rispetto al patto di Stabilità; e, con parole meno ultimative, ha avvertito anche l’Italia. «L’alto debito resta motivo di preoccupazione». «Sappiamo tutti che cosa accadrebbe se le regole non fossero rispettate». E ancora: «Lo sforzo italiano nel 2015 sarà di 0,1 per cento, mentre il patto richiede lo 0,5. Dunque servono misure efficaci».
«Misure efficaci»: più che nuovi provvedimenti, tra le righe si legge l’invito a dare seguito agli impegni presi. Ma non viene additata una manovra correttiva. «Nessuna richiesta di misure aggiuntive» sottolinea il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. La critica a un’Italia incline ad annunci senza riforme «non è più fondata», a suo avviso. Padoan rivendica la riforma del lavoro «ratificata dal Parlamento e pronta per essere attuata». D’altronde, su questo lo stesso ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, non proprio una «colomba», ha usato parole meno abrasive della Merkel. Il problema è che ad aggravare la percezione dell’Italia all’estero sono le divisioni interne.
Non aiuta l’immagine del Paese la spaccatura crescente tra governo e opposizione su quanto è stato fatto finora sulla politica economica. Quando la Merkel critica Palazzo Chigi con uno sconfinamento discutibile, forse può permettersi di farlo anche perché FI e Lega sono pronte a darle ragione in polemica con Renzi. Non c’è ombra di unità nazionale su queste materie. È come se, al di là delle riforme istituzionali, e con distinguo crescenti, il patto del Nazareno tra il premier e Silvio Berlusconi non riuscisse ad andare. Il risultato è di mostrare una nazione in affanno economicamente; e spaccata. Il capogruppo di FI alla Camera, Renato Brunetta, evoca comunque una manovra correttiva, chiedendo sarcastico: «Renzi, stai ancora sereno?».
Il guaio è che a non poter stare sereno, se le cose dovessero andare davvero male, non sarebbe solo il premier ma tutto il Paese.



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