Accordo fatto per l’acciaio di Terni investimenti e nessun licenziamento

Accordo fatto per l’acciaio di Terni investimenti e nessun licenziamento

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Dopo quasi cinque mesi di trattative estenuanti, 26 vertici al ministero (l’ultimo finito ieri pomeriggio dopo 29 ore ininterrotte di discussione), 35 giorni continuati di sciopero, blocchi autostradali e scontri fra lavoratori e polizia, l’accordo su Ast è cosa fatta. Sindacati e azienda, al tavolo del ministero dello Sviluppo economico, hanno trovato un’intesa che già oggi sarà portata in assemblea alle Acciaierie speciali di Terni e che a breve sarà sottoposta al referendum dei 2.600 dipendenti.
Scongiurati i licenziamenti: il piano industriale presentato dall’azienda a luglio ne prevedeva 550, ridotti poi a 290 e – in questi lunghi e sofferti mesi – completamente assorbiti dalle uscite volontarie incentivate (fino ad un massimo di 80 mila euro lordi, pari – per i dipendenti – a quasi due anni di stipendio). Confermato l’utilizzo del secondo forno (che Thyssen Krupp, proprietaria del sito, intendeva all’origine chiudere), le indennità notturne e festive per i dipendenti e il premio di produzione. Il piano industriale di quattro anni firmato da sindacati e azienda prevede 140 milioni di investimenti e una produzione minima di acciaio colato per un milione di tonnellate l’anno. «Accordo sudato, ma ottimo » ha twittato il premier Renzi.
Terni dunque riparte, ma con 290 dipendenti in meno pur se usciti volontariamente: «L’accordo è stato possibile grazie alla determinazione dei lavoratori e a costo di enormi sacrifici specifica Salvatore Barone, responsabile industria per la Cgil la perdita di 290 posti di lavoro è pesante, di conseguenza ora su Thyssen Krupp grava la responsabilità di tener fede agli impegni assunti con i lavoratori, con le istituzioni e con il governo». Un governo, precisa Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl «che su Terni ha capito come l’emergenza industriale richieda questo tipo di impegno e non annunci che servono solo ad infastidire chi vive tutti i giorni, sulla propria pelle, gli effetti della crisi».
Chiusa la vertenza Ast – come quella della Lucchini di Piombino ceduta agli algerini della Cevital – a completare il quadro della siderurgia italiana manca ora l’Ilva di Taranto, la più complessa delle tre vertenze, ancora tutta da definire. Ma ieri è stato il giorno della buona notizia: l’Ast è stata una delle vertenze più dure degli ultimi anni e lo sciopero di 35 giorni continuativi è stato uno dei più lunghi nella storia del sindacato italiano. L’esito non è mai stato scontato: nella lunga trattativa i momenti di gelo sono stati tanti, l’ultimo l’altra notte, quando l’amministratore delegato di Ast Lucia Morselli ha messo sul piatto la richiesta di cassa integrazione straordinaria di due anni per 400 dipendentiper coprire i costi delle mancate commesse dovute al lungo sciopero. Non se n’è fatto niente ma «la trattativa ha avuto momenti drammatici» – come ha ammesso il ministro Federica Guidi che ha seguito tutta la notte la vertenza e che si è detta «estremamente soddisfatta» del risultato raggiunto «a salvaguardia di un settore, quello dell’acciaio, strategico per l’economia italiana».


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