CHE faceva prima?, chiedo al “raccogli foglie” in tuta arancione. «Il ladro». E quanto tempo è stato in galera? «Ahò, io so’ Pelosi, quello de Pasolini », risponde l’operaio-giardiniere “evaso” da un’altra Roma, capelli a spazzola, l’aria da futuro dietro le spalle.
«SO’ stato vent’anni in galera, in manicomio e anche in casa custodia, ma ancora mafioso non me l’aveva detto nessuno».
Ex detenuti, disabili, sbandati, i dipendenti della Cooperativa 29 giugno non sono abituati a ricevere le visite dei giornalisti e tuttavia non si nascondono per timidezza, ma perché si sentono umiliati. «Ci hanno arrestato presidente e vicepresidente. Pare che anche le segretarie in ufficio siano indagate. Io guadagno 920 euro al mese per pulire i giardini. Adesso che succederà? Gli italiani pensano che questo è un covo della mafia. Dobbiamo tornare a delinquere?». La signora che si è appena sfogata ci sta cacciando sullo stradone di periferia, fuori dai cancelli della Cooperativa, un complesso di prefabbricati bassi circondato da un muro di cemento: peggio di una caserma, meglio di una galera. Indossa un tailleur blu e un cappotto rosso e sembra sconvolta dall’emozione. «Di solito — ci dice Pelosi — quella è tutta un sorriso».
Anche Ignazio Marino in Campidoglio è sconvolto e si nasconde, ma per prudenza politica: «Sta ancora studiando le carte». Tutti qui studiano le carte ma già pensando alle altre carte, quelle del secondo tempo annunciato dal procuratore Pignatone: indizi di pena, ma anche mappa dell’aporia e molliche di difesa. «Ci sono ancora una ventina di nomi che devono saltare fuori», spiega l’ex capogruppo del Pd Francesco D’Ausilio. E aggiunge che «potrebbe toccare a chiunque. È come una roulette capricciosa. Chi può sapere cosa ha millantato al telefono quel Buzzi parlando col suo capo? Buzzi me lo ricordo, sempre presente a tutte le sedute del consiglio comunale. L’altro invece, il fascista mafioso, Carminati, quello non l’ho visto mai».
Oggi i politici romani vivono dunque nel presagio. Alle 16,43 le agenzie battono la notizia che un uomo è stato gambizzato in strada nel quartiere San Lorenzo. Non c’entra nulla, ma tutti vorrebbero sapere il nome perché anche nei saloni più solenni d’Italia l’atmosfera è carica di ioni negativi, quelli della suburra. «È come un film dell’orrore», mormora Luca Galloni il capo della segreteria di Mirko Coratti, il presidente dell’Assemblea capitolina che si è dimesso quando ha saputo di essere indagato. Giovane e tormentato, Galloni dice: «Buzzi a me neppure mi salutava. E l’altro, Carminati, è di quelli che io, solo per la faccia che ha, non l’avrei mai incontrato».
E Marino in clausura cosa cerca in quelle carte? Al terzo piano del Campidoglio lo chiedo a uno che gli è molto vicino ma non vuol comparire e neppure vuol farsi vedere insieme a noi: «Le avete lette voi? Ci sono così tanti omissis! Per tutti noi gli omissis sono come le sciarade della Settimana Enigmistica. C’è la possibilità, risolvendoli, di uscire dannato o, al contrario, risorto». Saliamo perciò una scala stretta che conduce, per così dire, dietro le quinte. È un po’ come ritrovarsi in un teatro. A ogni angolo, però, c’è qualcuno che ci controlla. Chiedo a una gentile signora bionda: «Ma in quanti siete nello staff del sindaco, e come mai state sempre in giro appresso a me?».
Adesso siamo noi che, in cima alla scaletta, mostriamo un foglio, firmato da Ignazio Marino, «il candidato», con l’elenco dei suoi finanziatori e l’ammontare dei finanziamenti. Ebbene, anche la campagna di Marino fu sovvenzionata, 30mila euro, dalle cooperative sociali guidate appunto da Buzzi, quello che comprava appalti, l’ex detenuto per omicidio diventato presidente della cooperativa di ex dannati della terra in via Pomona, lo stradone dove avevamo lasciato Pelosi che gli altri operai chiamano, per rispetto al rango, «il signor Pino». Pelosi vuol mettersi in proprio e propone anche lui una cooperativa, con biglietto da visita, numero di telefono e logo libertario.
In via delle Vergini nella stanza 303 al terzo piano del palazzo dei gruppi consiliari, tutti si muovono dentro il labirinto del minotauro Pignatone. A chi toccherà? Il risultato è che anche qui si nascondono, ma solo perché stanno in un’altra “terra di mezzo”, dove si incontrano ladri e derubati, morti e morituri.
Almeno Marino, in Campidoglio, si fa proteggere dai vigili urbani che piantonano la sua porta continuamente attraversata da uscieri affaccendati. Riusciamo a bloccare un vigile che è una specie di Maciste: «Ci hanno detto di stare attenti perché qui girano giornalisti camuffati», dice a noi che camuffati non siamo.
Non si nasconde invece — almeno non subito — il nuovo amministratore delegato dell’Ama che è la società carrozzone che non riesce a pulire Roma. Si chiama Daniele Fortini. Parente del poeta? «No, ahimè, solo cugino di quel matto che per strada disturba le tv». Paolini? «No, diciamo il suo successore, che almeno non è molesto, Mauro Fortini. Lui è il matto della tv, io il matto dell’Ama». E ci dà un po’ di numeri: «7.340 dipendenti, 830 milioni di fatturato, serve tre milioni di abitanti, ha appalti e forniture per 250 milioni l’anno, 650 milioni di debiti con le banche, 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti gestiti, 5 autoparchi con 2.400 automezzi ». E ora descrive benissimo il tumore del parastato dove allignano ancora i parassiti, « il mondo parallelo della parentopoli dove Alemanno collocava i suoi». E dove, ammette, «l’ex amministratore delegato ora arrestato, Franco Panzironi, ha ancora i terminali funzionanti». Qui c’è una certa idea di Roma, perché dalle finestre vedi pure il Terminillo ma dentro tutto è triste, è il mondo del travet crocifisso in sala mensa: tetti bassi, speranze strette e luci al neon, non i labirinti di Buzzati che era del Nord e neppure l’ambientazione di Paolo Villaggio, ma la Roma piccola piccola di Cerami, con il il bubbone però della “Mafia Capitale”, che è una formula a cavallo tra esercitazione di stile e tragedia sociale. Anche i soprannomi sono a cavallo tra la malavita e Dagospia, un po’ Totò u curtu e un po’ la Santadeché. Fortini, che da giovane era funzionario berlingueriano del Pci e ha una moglie sindacalista della Fiom, ammette che dentro l’Ama suonano più tribali che mafiosi er Cecato , er Guercio , er Maialetto , il re di Roma, il Nero, er Pirata, er Cane, il Tanca , er Caccola , Cicorione , Rommel , Forfora, er Miliardario. Fortini guadagna «79mila euro lordi l’anno», contro i 545mila del suo predecessore Panzironi, meno degli stipendi concessi ai camerati che Alemanno assunse come quadri.
Se l’aspettava? «Sapevo di star seduto su una bomba». E non poteva fare qualcosa, intervenire prima? È la domanda che gli fa anche Natale Di Cola, giovane segretario della Cgil (funzione pubblica) che ci racconta di avere portato lì anche Camusso «l’11 novembre 2013, ma Fortini ha lasciato tutti gli uomini di prima, forse avrebbe potuto fare di più, sicuramente deve ancora fare il più». Fortini, che è di Orbetello, («ne sono stato il sindaco comunista») ha un bel piano industriale e viene dall’azienda municipalizzata di Napoli, «poi mi chiamò Marino e la chiamata è stata irresistibile». Differenze con Napoli? «Sì. Lì ho incontrato la camorra e qui ho incontrato la politica. E non sto certo dicendo che sono uguali che sarebbe una corbelleria, ma dal consigliere municipale al deputato tutti si sentono autorizzati a dire ad Ama cosa deve fare». Fortini ha l’aria di un bel manager che non ha paura dell’assedio ma dal Campidoglio qualcuno lo chiama e alla fine, anche lui, vorrebbe essersi nascosto, cancellare o rinviare l’intervista.
E voliamo nel quartiere San Lorenzo a cercare la sede dell’Opera Nomadi, la più antica cooperativa sociale a favore dei migranti. Ma il presidente, Massimo Converso, è in Transilvania. Lo chiamiamo al telefono: «È terribile — dice — che in Italia si diffonda l’idea che gli immigrati e i rifugiati sono gestiti dalla mafia. Sono calabrese e combatto la mafia da tutta la vita. È odioso quello che succede». Anche la cooperativa Sorriso, gli dico, quella del palazzo assediato a Tor Sapienza, fa capo al terribile Buzzi, l’elemosiniere della Mafia Capitale. E poi c’è quell’Odevaine che riusciva a intervenire sul ministero e aumentare il numero degli immigrati assegnati al Lazio. Povero Converso, si sente anche lui assediato: «Mi viene quasi da piangere». Abituati alla Roma falsaria, quella della Stangata con i biglietti falsi del bus, adesso questa ci sembra Kobane, la città curda sotto assedio. Soffia dal Campidoglio un’aria da Medio Oriente e da sfascio tribale. Tutti attendono i nuovi avvisi di garanzia come i bramini attendono i prescelti per le pire.