Strade chiuse e case demolite Gerusalemme sotto assedio

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GERUSALEMME Shimon Peres e Yasser Arafat camminano tenendosi sottobraccio, sullo sfondo una lastra di vetro comincia a incrinarsi fino a spezzarsi in due: «Peres dividerà Gerusalemme», ammonisce la voce in tono tragico.

Yedioth Ahronoth , il quotidiano più venduto in Israele, rievoca in un editoriale quello spot elettorale del 1996: lo slogan funziona, Benjamin Netanyahu e la destra vincono le elezioni. «Sono passati diciotto anni — scrive il giornale — e la città è unita sulla carta e divisa in pratica. Il governo non ha soluzioni contro gli attentati: potrebbe solo innalzare barricate e filo spinato per separare i quartieri arabi. Non può permetterselo». Perché Netanyahu ha promesso (e lo ha ribadito nel discorso alla nazione dopo l’attacco di lunedì alla sinagoga) che Gerusalemme «resterà la nostra capitale indivisibile per l’eternità».
Eppure le misure per cercare di riportare la calma creano di fatto una divisione («questa volta senza un accordo di pace come avrebbe voluto Peres», conclude Yedioth ): le vie che portano ai quartieri abitati dagli arabi sono state chiuse dai posti di blocco, ieri l’esercito ha demolito la casa di Abdelrahman Shalodi, il palestinese che il 22 ottobre ha scagliato l’auto sulla fermata del tram, uccidendo una bambina di tre mesi e una ragazza dell’Ecuador. A Gerusalemme la punizione non veniva messa in atto dal 2009 («andremo avanti con le distruzioni», avverte Netanyahu), mentre in questi anni è rimasta una procedura applicata in Cisgiordania.
Il premier deve dimostrare di essere ancora Mr Sicurezza (altro slogan delle sue campagne elettorali) anche quando la sicurezza per le strade scompare: 6 attacchi in meno di un mese, 10 morti. Deve competere per i voti della destra (ieri il Comune di Gerusalemme ha annunciato 78 nuove abitazioni nelle zone arabe) con ministri oltranzisti come Naftali Bennett, che propone per la città un’operazione militare «nello stile di quelle condotte in Cisgiordania durante la seconda Intifada». Sia Bennett che Netanyahu accusano Abu Mazen di incitare gli assalti. Il presidente palestinese è visto invece come una soluzione dai comandanti dell’esercito e dai servizi segreti: «Lo difendono contro le critiche dei politici — commenta Ben Caspit, prima firma del quotidiano Maariv — perché sanno che ha impartito l’ordine alle sue truppe di combattere i terroristi».
Davide Frattini


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