Il rendimento del denaro, se tenuto inerte, sta diventando negativo in termini nominali. Non poteva esserci espressione più dura della deflazione che incombe sull’Europa e di come la Bce rischi di trovarsi in un vicolo cieco nel suo tentativo di arrestarla. Le vie ortodosse come il taglio dei tassi sono esaurite sul limite dello zero, quelle non troppo anti-convenzionali come gli interessi negativi sui depositi non sono più percorribili oltre. All’Eurotower non resta che espandere la dimensione del bilancio, cioè creare moneta e immetterla nell’economia comprando titoli sul mercato.
È su questo punto che a Francoforte si sta consumando il conflitto più violento della storia della Bce. Non che sia il primo, anzi quello in corso ne ripete in parte altri del passato recente. La svolta del 2011 che spinse Mario Draghi verso la presidenza ricorda per esempio, in parte, ciò che sta accadendo in queste ore. Ieri sera la minoranza di dissidenti nell’Eurotower, secondo Reuters , si sarebbe preparata per esprimere in consiglio direttivo il malumore per il modo poco consensuale in cui Draghi guida la banca. C’è un parallelo dal passato: quasi quattro anni fa, nel febbraio del 2011, Axel Weber fece sapere che si dimetteva dalla presidenza della Bundesbank. «Ragioni personali», disse. In realtà aveva perso un confronto aperto in Bce sugli acquisti di titoli di Stato e non intendeva restare in minoranza, mentre l’istituzione andava in direzione opposta alla sua.
I peggiori conflitti fra la maggioranza pragmatica dell’Eurotower e una minoranza di sei o sette componenti (su 24) raccolta intorno alla Bundesbank sono di questi giorni. Ma in passato sono andate in scena varie prove generali. Sei mesi dopo Weber si dimise anche Juergen Stark, il capoeconomista tedesco della Bce in rotta con la scelta di comprare titoli di Italia e Spagna. Jean-Claude Trichet, il predecessore di Draghi, aveva affrontato le obiezioni di Weber e Stark e li aveva disinnescati. Oggi però la storia si ripete con una sfumatura diversa: le presunte fughe di notizie sui media internazionali non prendono più di mira solo la linea della Bce, ma il suo presidente italiano. Non si attaccano più le scelte, ma la reputazione della persona. Su questo sfondo oggi il consiglio direttivo darà senz’altro uno spunto su cui misurare i rapporti di forza. La minoranza raccolta attorno a Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, conta banchieri centrali con passaporto tedesco, lussemburghese,olandese, estone e lettone. Tutti si oppongono all’idea, formulata in pubblico da Draghi, che il bilancio della Bce debba crescere dai circa duemila miliardi di euro di oggi fino ad almeno 2.700 miliardi. La minoranza sostiene che Draghi abbia indicato questo obiettivo senza concordarlo prima con nessuno. La posta in gioco è evidente: per creare circa 700 miliardi di nuova moneta, prima o poi può diventare necessario comprare titoli di Stato.
Si capirà dunque oggi se la Bce indicherà l’obiettivo di una forte espansione del bilancio nella dichiarazione scritta del presidente dopo il consiglio. Probabilmente comparirà un accenno, ma senza cifre: l’ultima cosa che Draghi vorrà fare adesso, nel suo stile di sempre, è esacerbare il conflitto mettendo la Bundesbank di nuovo in minoranza con un voto.