Con il Tfr in busta paga la pensione integrativa subirà per sempre una sforbiciata del 15%

Con il Tfr in busta paga la pensione integrativa subirà per sempre una sforbiciata del 15%

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ROMA . Tre mensilità in più nel prossimo triennio. E fino al 15% di pensione integrativa in meno, per sempre. Uno scambio equo e ragionevole? Lo decideranno i milioni di italiani che grazie alla legge di Stabilità nel 2015 potranno dirottare il Tfr in busta paga, da marzo sino a giugno 2018. Se è vero che la scelta tenterà soprattutto le famiglie a basso reddito, bisognose di credito, in bolletta e dunque non avvezze a risparmiare (il 34% di questo segmento, secondo quanto calcolato ieri dall’Ufficio parlamentare di bilancio), è pur vero che tutti gli altri lavoratori potrebbero essere più sensibili alle sirene di Bankitalia. Laddove raccomanda al governo una valenza transitoria della misura poiché l’adesione soprattutto dei meno abbienti e dei giovani «aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate». Il pericolo in effetti c’è. Ma il premier Renzi, intervistato ieri sera da Ballarò , ha ribattuto così: «Le pensioni dei giovani sono a rischio perché non lavorano, e non per il Tfr. I cittadini saranno liberi di decidere sul Tfr, non credo cambieremo la norma».
Ognuno poi si farà i suoi conti, ci mancherebbe. Ma le giovani generazioni, i “milleuristi” con carriere discontinue, oramai immersi nel contributivo puro, se non vogliono assottigliare ancora di più il magro assegno futuro devono pensarci bene. A guardare una prima simulazione di Progetica, ad esempio, tre lavoratori che oggi hanno 30, 35 e 40 anni e guadagnano rispettivamente mille, 1.500 e 2 mila euro netti al mese perderebbero tra l’8 e il 15% di integrazione alla pensione, se optassero per il Tfr subito in tasca. A fronte di tre mensilità extra (la quota di liquidazione annuale è grossomodo pari a uno stipendio), dunque tre quattordicesime, lascerebbero sul campo una fetta di quiescenza, maturabile grazie all’investimento di quella stessa cifra nei fondi pensione (oggi tra il 50 e il 60% dei dipendenti mette il Tfr nei fondi).
Soldi subito per tre anni, ma vitalizi striminziti? Decideranno i lavoratori. Tenendo conto, tra l’altro, che il Tfr subito viene tassato di più (ad aliquota marginale Irpef, quindi fino al 43%, anziché come reddito separato tra il 20 e il 23%). Con il duplice e ridicolo rischio di perdere gli altri bonus (gli 80 euro o i vantaggi legati all’Isee), sebbene il ministro Padoan abbia scongiurato il cumulo dei redditi. Comunque la si pensi, alla fine si avrà un bottino più magro: meno patrimonio, oltre che pensioni più basse. A proposito di pensioni, in attesa che l’Inps ora guidata da Tiziano Treu spedisca a casa la mitica busta arancione (l’estratto conto che simula i futuri assegni pensionistici), la prospettiva per i giovani precari, ex precari, intermittenti è raccapricciante. Sempre Progetica, società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria, calcola che se l’economia va male (Pil piatto a zero) e la carriera è stop and go, un trentenne che oggi prende mille euro di stipendio ne intascherà la metà di pensione. Se lavorasse con contratti degni e continuati e il Pil dei prossimi anni fosse in media dell’1,5% (il Pil influenza l’entità della pensione), arriverebbe a quasi 900 euro.
Tenuto conto poi che l’aspettativa di vita allontana l’età dell’uscita, quel trentenne potrebbe trovarsi a 70 anni alla mensa pubblica. Va considerato anche questo nell’opzione del Tfr anticipato. Proprio perché spiega Andrea Carbone, partner di Progetica, mai come oggi «la decisione di integrare l’assegno pensionistico pubblico attraverso la previdenza complementare diventa la scelta se “subire” o “gestire” anche altri rischi, come quello che l’economia italiana continui a crescere poco o niente e che la propria carriera lavorativa possa essere discontinua». Peccato che il governo abbia appena alzato le tasse proprio sui fondi pensione.


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