Caso Cucchi, l’inchiesta può ripartire
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ROMA «Se emergeranno fatti nuovi o comunque l’opportunità di nuovi accertamenti, la Procura è sempre disponibile, come in altri casi più o meno noti, a riaprire le indagini».
Il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone apre la porta a ulteriori accertamenti per cercare di attribuire responsabilità certe per il pestaggio di Stefano Cucchi nelle celle di sicurezza del Palazzo di giustizia, prima dell’udienza di convalida dell’arresto. Verifiche che, però, potrebbero anche riguardare il motivo della morte di Cucchi: finora è stato escluso il nesso di causalità tra le botte che ha ricevuto (di cui ha dato conto anche la Corte d’assise) e il decesso. Ma, a questo punto, non è escluso che la vicenda si riapra completamente.
Del resto, lo stesso Pignatone ha sottolineato come «non sia accettabile, dal punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia, non per cause naturali, mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello Stato». Seppure senza sbilanciarsi, il procuratore ha poi osservato come «la responsabilità penale però è — come vuole la Costituzione — personale e non collettiva e deve essere riconosciuta dalle sentenze dei giudici, che tutte meritano assoluto rispetto anche quando, come nel caso di specie tra loro contrastanti e, a parere dell’ufficio di procura, in tutto o in parte non condivisibili».
Secondo Pignatone, «nel caso in questione, poi, la sentenza di appello non è ancora definitiva e non se ne conoscono le motivazioni. Essa peraltro — ha aggiunto — arriva dopo un lungo e complesso iter processuale nel corso del quale tutte le parti, pubbliche e private, hanno potuto richiedere ai giudici gli accertamenti e gli approfondimenti ritenuti opportuni o necessari».
Oggi Ilaria Cucchi, il padre e la madre si presenteranno al Palazzo di giustizia e chiederanno di essere ricevuti da Pignatone: come ha già fatto altre volte, il magistrato li ascolterà. E non è escluso che ribadirà loro la linea dell’accusa: per la Procura, il ragazzo è sicuramente stato picchiato ma i giudici non hanno individuato con chiarezza chi sia stato a colpirlo.
Non solo. Nel silenzio più assoluto, senza che venisse dato tanto clamore alla vicenda, presto ci potrebbe essere la prima sentenza definitiva: condannato in primo grado a due anni di carcere per falsità ideologica e assolto in appello, Claudio Marchiandi (l’alto funzionario del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria che nell’ottobre 2009 aveva sollecitato di persona il ricovero di Cucchi nel reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini, dov’è morto nel giro di pochi giorni) subirà un ulteriore processo di secondo grado. La Cassazione ha accolto il ricorso del pg: i giudici d’appello lo avevano assolto sostenendo che il ricovero non era finalizzato a «isolare Cucchi», le toghe con l’Ermellino hanno sottolineato — in sintesi — «come non sia conforme a logica sostenere che il ricovero in una struttura protetta comporti l’attenuazione dello stato di isolamento del detenuto, che è proprio del regime carcerario».
Del resto, lo stesso Pignatone ha sottolineato come «non sia accettabile, dal punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia, non per cause naturali, mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello Stato». Seppure senza sbilanciarsi, il procuratore ha poi osservato come «la responsabilità penale però è — come vuole la Costituzione — personale e non collettiva e deve essere riconosciuta dalle sentenze dei giudici, che tutte meritano assoluto rispetto anche quando, come nel caso di specie tra loro contrastanti e, a parere dell’ufficio di procura, in tutto o in parte non condivisibili».
Secondo Pignatone, «nel caso in questione, poi, la sentenza di appello non è ancora definitiva e non se ne conoscono le motivazioni. Essa peraltro — ha aggiunto — arriva dopo un lungo e complesso iter processuale nel corso del quale tutte le parti, pubbliche e private, hanno potuto richiedere ai giudici gli accertamenti e gli approfondimenti ritenuti opportuni o necessari».
Oggi Ilaria Cucchi, il padre e la madre si presenteranno al Palazzo di giustizia e chiederanno di essere ricevuti da Pignatone: come ha già fatto altre volte, il magistrato li ascolterà. E non è escluso che ribadirà loro la linea dell’accusa: per la Procura, il ragazzo è sicuramente stato picchiato ma i giudici non hanno individuato con chiarezza chi sia stato a colpirlo.
Non solo. Nel silenzio più assoluto, senza che venisse dato tanto clamore alla vicenda, presto ci potrebbe essere la prima sentenza definitiva: condannato in primo grado a due anni di carcere per falsità ideologica e assolto in appello, Claudio Marchiandi (l’alto funzionario del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria che nell’ottobre 2009 aveva sollecitato di persona il ricovero di Cucchi nel reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini, dov’è morto nel giro di pochi giorni) subirà un ulteriore processo di secondo grado. La Cassazione ha accolto il ricorso del pg: i giudici d’appello lo avevano assolto sostenendo che il ricovero non era finalizzato a «isolare Cucchi», le toghe con l’Ermellino hanno sottolineato — in sintesi — «come non sia conforme a logica sostenere che il ricovero in una struttura protetta comporti l’attenuazione dello stato di isolamento del detenuto, che è proprio del regime carcerario».
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