Renzi archivia i reduci della vecchia sinistra “Il posto fisso non esiste più”

Renzi archivia i reduci della vecchia sinistra “Il posto fisso non esiste più”

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FIRENZE . I reduci. Quelli del telefono a gettoni e del rullino nella macchina fotografica. Quelli che in fondo in fondo sperano che tu fallisca perché “se non ce l’abbiamo fatta noi figuriamoci loro”. Quelli che come il pensionato affacciato al cantiere scuotono la testa e dicono questa strada non si farà mai. Quelli che si aggrappano agli striscioni come alla coperta di Linus. La coperta ideologica di un mondo scomparso. Non si combatte il precariato con le manifestazioni né coi convegni, dice Matteo Renzi al milione di piazza San Giovanni e agli “intellettuali” col sopracciglio alzato («non applaudite, chi applaude è intellettuale », risate in platea). Difendete pure i diritti di chi ha il posto fisso, l’articolo 18 sui licenziamenti, «le leggi del 1970 che la sinistra di allora non votò» ma sappiate che il posto fisso non c’è più. È sparito, per chi arriva oggi al mondo, dal mondo. State solo difendendo voi stessi dall’eventualità che qualcun altro che non siete voi voglia e sappia cambiare le regole che tutelano il lavoro e «io non ho paura — grida — che nasca a sinistra qualcosa di diverso». Non ho paura della scissione della sinistra radicale perché «sarà bello sapere se è più di sinistra rimanere aggrappati alla nostalgia o prevedere il futuro». Infine, a Rosi Bindi per tutti: «Potete definire la Leopolda imbarazzante, ma io non consentirò a quella classe dirigente di riprendersi il Pd per riportarlo dal 41 al 25 per cento».
Dunque: i pionieri contro i reduci. I nostalgici contro i visionari costruttori di futuro. Il museo delle cere contro quelli che lo sanno eccome che nell’Iphone non entra il gettone, nella macchina analogica non ci va il rullino. «È finita l’Italia del rullino». Protestate pure, provate a infilarlo nella vostra macchina fotografica, sì, continuate pure a provare. Risate, applausi. Ora sì, potete applaudire.
È un attacco durissimo, quello di Renzi, all’altra sinistra. Quella di lotta che ha manifestato in piazza e per la quale ha proclamato rispetto, sabato, ma che ora in chiusura dei lavori della Leopolda di governo liquida come un retaggio novecentesco e minoritario, un sussulto del passato che non muore incapace di ammettere i suoi errori e guardare il mondo com’è diventato. È tranquillo, Renzi. Della scissione non ha paura perché non ci sarà, dice ai suoi e a Firenze ripetono tutti: finchè non c’è aria di elezioni non ci saranno scissioni e se il Capo dello Stato resiste al suo posto di elezioni non si parla. Da qui il passaggio politico più rilevante di tutto il suo discorso, a dieci minuti dalla fine: la difesa appassionata e la chiamata a sostegno solidale di Napolitano «attaccato da mille menzogne» all’antivigilia della deposizione sulla Trattativa Stato-mafia, in mezzo al guado dello stallo per l’elezione dei giudici della Corte. Un grazie dalla Leopolda al capo dello Stato, che resti dov’è e continui a garantire stabilità e governo.
È questo il giorno, del resto, nel quale sotto la Grande Tenda del Pd che piace a Renzi, «quello dove c’è posto per tutti, se volete venire, noi siamo quelli delle porte aperte. Lo eravamo anche quando volevano cacciare noi», è il giorno in cui arrivano sul palco la destra della sinistra — Andrea Romano, ex Scelta civica — e la sinistra che preferisce «essere minoranza che essere opposizione », quella di Gennaro Migliore e dei suoi undici fuorusciti da Sel che oggi presenteranno una lettera collettiva per entrare, come gruppo, nel Pd. Tutti tranne Claudio Fava, in dissenso con le politiche antimafia del governo. Un neo, questo dell’antimafia, che insidioso si affaccia e riaffiora a livelli altissimi e più popolari, ne parlava sabato qui anche Pif. Migliore difende dal palco il diritto di sciopero, «non uno ma il primo dei diritti perché l’ultimo ad essere esercitato come arma di difesa», e diventa ufficialmente garanzia e compensazione dell’effetto Serra inteso come Davide, il banchiere. Più Cucinelli, l’imprenditore che investe nella dignità del lavoro, meno finanza per quanto effettivamente creativa di profitti. Del resto Landini non farà il leader della sinistra, dicono attorno a Migliore i vecchi ex comunisti che pure ci sono, alla Leo- polda: Landini farà il leader della Cgil e allora chi resta, se perde Matteo, a darci speranza? Chi c’è in Italia, oltre a lui? Chi avanza, a parte — a destra — Salvini?
Questo il quadro, questa la cornice dentro la quale il premier si lancia in un’ora di discorso a braccio che parte dall’Europa, passa dalla Siria e dall’Iraq, attraversa il Mozambico e i grandi laghi, plana su Angela Merkel («la sua ossessione», dice uno dei suoi uomini ridendo) per ricordare che lei, Angela, ha preso 10 milioni e 600 mila voti, «noi 11 e 2».
Va in picchiata sul Jobs act, infine, per attaccare chi difende il posto fisso dicendo che «noi la maternità la vogliamo difendere per tutti, non per chi ha già un posto di lavoro. C’è qualcuno in dissenso?». Ovazione.
È diventato negli anni molto bravo, Renzi, nell’oratoria dal palco. Fa ormai persino il controcanto di se stesso, ogni tanto si ferma come se assistesse al discorso e si giudica, “oh, Matteo come sei invecchiato”, “Oh Matteo come l’hai presa alla larga”. Si commenta in diretta, parla alle ministre in jeans chiamandole per nome come compagne di scuola, passa dall’io al noi al voi per tornare all’io che comprende il voi, «quello che dobbiamo fare davvero, voi ed io, è vincere la nostra paura e ridare speranza e fiducia». Passa dalla Libia alla fila per il bagno, dove ha parlato con tanta gente e capito tante cose, nell’attesa — risate — riprende le parole di Giuliano Poletti che «se c’è una lattina per terra non bisogna domandarsi chi non l’ha spazzata ma chi è quel cretino che ce l’ha buttata». Annuiscono nelle prime file Ignazio Marino, Giorgio Gori, quello che ha tirato su la nave Concordia e quello che studia il vaccino contro Ebola, vecchi e nuovi amici della Leopolda, tanti arrivati ora che serve ma tantissimi che c’erano da prima e lui lo sa, chi sono. Ha la data della carta d’imbarco di tutti. Maria Elena Boschi, che all’inizio qui era solo una volontaria, parla sulla scia e sull’onda del video commoventissimo di Malala premio Nobel per la Pace, dissolvenza ed effetto traino per l’applauso. Gli ultimi arrivati salgano pure, pazienza se con meno effetti speciali, c’è posto anche per loro. Il partito del 51 per cento. Questo annuncia la quinta Leopolda. Il partito a cui non c’è alternativa, guardatevi attorno. Se poi volete ancora una volta distinguervi e fare la sinistra radicale, «che da decenni in questo paese si scinde poi perde e poi fa perdere tutti» accomodatevi, uscite pure. Risate.
Per il momento sono più quelli che arrivano che quelli che escono, dalla vecchia stazione di Firenze travestita da garage. Renzi promette di trovare in Mozambico risorse energetiche fino al 2046 e di governare fino al 2023. Se c’è qualcuno in giro che può promettere di meglio è il suo momento, si faccia avanti. In politica la scelta dei tempi è tutto, o almeno parecchio. Nella lunga lista di quelli che Renzi chiama reduci sono in tanti a saperlo.



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