Scontri, pestaggi e 45 arresti. A Hong Kong sgomberato un ritrovo di Occupy

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A Hong Kong, adesso, la ten­sione è quasi al limite. Ieri almeno 100 mani­fe­stanti hanno ten­tato di for­zare l’ingresso di uno degli uffici di poli­zia. Il gesto è arri­vato dopo giorni di scon­tri, duranti i quali si sono regi­strati arre­sti e feriti. Dopo set­ti­mane di mani­fe­sta­zioni sostan­zial­mente paci­fi­che e senza scon­tri con la poli­zia locale, le ultime ore a Hong Kong dun­que hanno visto un suc­ce­dersi di eventi, desti­nati ad aumen­tare e non di poco il rischio che la situa­zione possa sfug­gire di mano, tanto ai mani­fe­stanti, quanto al governo locale.

Se nei primi giorni l’uso di gas lacri­mo­geni e spray al pepe­ron­cino da parte della poli­zia, aveva cau­sato feroci pro­te­ste con­tro il governo locale (anche per­ché per molti dei mani­fe­stanti si è trat­tato della prima espe­rienza di con­te­sta­zione), nei giorni scorsi si è assi­stito ad un pestag­gio indi­scri­mi­nato da parte di agenti con­tro un atti­vi­sta. La scena, ripresa dalle tele­ca­mere di una rete tele­vi­siva, è diven­tata un atto di accusa con­tro le forze di poli­zia. Alcuni dei poli­ziotti respon­sa­bili dei pestaggi, dopo la dif­fu­sione del video sono stati sospesi. La deci­sione è stata annun­ciata ieri dal mini­stro della sicu­rezza dell’ex-colonia britannica.

Le imma­gini sono state girate da un ope­ra­tore della rete tele­vi­siva Tvb ad Admi­ralty, il quar­tiere dei mini­steri occu­pato da oltre due set­ti­mane dai mani­fe­stanti, che chie­dono a Pechino di garan­tire per il 2017 ele­zioni «real­mente» libere nel ter­ri­to­rio. La vit­tima del pestag­gio è Ken Tsang, diri­gente del «Par­tito Civico», uno dei par­titi pro demo­cra­zia di Hong Kong.

Nelle imma­gini tra­smesse da Tvb non è pos­si­bile vedere il volto della vit­tima, ma lo stesso Tsang ha mostrato ai gior­na­li­sti i lividi che ha sul volto e sulla schiena in seguito alle botte subite. Le vio­lenze della poli­zia, che hanno rimosso gran parte delle bar­ri­cate erette dai mani­fe­stanti nei giorni scorsi, sono state denun­ciate anche dal lea­der stu­den­te­sco Joshua Wong. I gio­vani, ha detto Wong, «hanno perso com­ple­ta­mente la fidu­cia» nella poli­zia del ter­ri­to­rio. Per strada infatti, la situa­zione non è migliore. Secondo quanto è stato rico­struito nelle scorse ore, l’altro ieri la poli­zia avrebbe sgom­be­rato i mani­fe­stanti dall’interno di un tun­nel uti­liz­zato come cen­tro della protesta.

Ci sareb­bero stati anche scon­tri, cui sono seguiti almeno 45 arre­sti. Il capo della poli­zia di Hong Kong, Tsui Wai-hung, secondo la stampa locale, ha spie­gato ai gior­na­li­sti che «i 45 mani­fe­stanti erano stati arre­stati per riu­nione ille­gale e per aver osta­co­lato l’applicazione della legge da parte della poli­zia». Secondo fonti locali, però, dovrebbe trat­tarsi di un’unica azione di inti­mi­da­zione, per­ché il governo locale teme che gli arre­sti pos­sano tra­sfor­mare gli atti­vi­sti in «sim­boli per la demo­cra­zia tra il pub­blico più vasto». Nel frat­tempo pro­se­guono anche le atti­vità dei cosid­detti «anti Occupy»: per­sone che chie­dono un ritorno alla nor­ma­lità, e a cui si sono uniti filo­ci­nesi e mem­bri delle triadi (le mafie locali), che da giorni osta­co­lano la dif­fu­sione dell’Apple Daily, noto quo­ti­diano fin dall’inizio al fianco del movi­mento Occupy.

E ieri Pechino si è espressa con­tro Tai­wan, per par­lare ad Hong Kong: una por­ta­voce cinese ha aspra­mente cri­ti­cato oggi il pre­si­dente tai­wa­nese Ma Ying-jeuo che, com­men­tando i recenti avve­ni­menti ad Hong Kong, aveva invi­tato Pechino ad aprirsi alla demo­cra­zia. «La parte tai­wa­nese non dovrebbe fare com­menti irre­spon­sa­bili», ha affer­mato Fan Liqing, por­ta­voce dell’Ufficio per gli Affari Tai­wa­nesi di Pechino in una con­fe­renza stampa. Ma, che segue una poli­tica di disten­sione e col­la­bo­ra­zione con la Cina, ha com­men­tato le mani­fe­sta­zioni pro-democrazia di migliaia di cit­ta­dini di Hong Kong ricor­dando che trent’anni fa l’allora lea­der cinese Deng Xiao­ping aveva soste­nuto che con le riforme eco­no­mi­che «qual­cuno si sarebbe arric­chito prima degli altri». «Per­ché ora, qual­cuno — cioè Hong Kong — non può avere la demo­cra­zia prima degli altri?», si è chie­sto il lea­der tai­wa­nese. E Il Quo­ti­diano del Popolo di Pechino ieri ha con­fer­mato la fidu­cia del Par­tito comu­ni­sta nel capo del governo locale, o «chief exe­cu­tive», Leung Chun-ying, la cui popo­la­rità è for­te­mente calata non solo per i pestaggi della poli­zia, ma anche per uno scan­dalo di cor­ru­zione reso noto pro­prio nel bel mezzo delle proteste.

Da un son­dag­gio pub­bli­cato dal South China Mor­ning Post risul­te­rebbe inol­tre che la «numero due» Car­rie Lam e il respon­sa­bile delle finanze John Tsang sareb­bero più popo­lari del «chief executive».



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