Expo a Milano: format grandi eventi e frontiera del lavoro gratuito
Il coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato (Csv Net), a cui Expo spa ha dato il compito di individuare 7500 volontari per l’Esposizione universale, sostiene che le candidature raccolte siano seimila e che potrebbero diventare 10 mila prima dell’inizio della kermesse milanese, il primo maggio 2015. Il venti per cento dei candidati al lavoro gratuito per il grande evento vive a Milano, un altro venti per cento in Lombardia, il 55% vive in altre regioni, il 5% dall’estero. Il 62% dei candidati ha un’età inferiore ai 24 anni; il 22% ha tra i 24 e i 35 anni, il 16% è over 35. Ci sono anche ultrasessantenni (l’1%) e pensionati (il 5%). Non tutti dunque sono studenti, liceali o universitari, né disoccupati.
Di certo sono precari. Secondo una prima analisi delle candidature, il 13% degli aspiranti volontari è inattivo. Il 60% sono studenti, il 13% si sono dichiarati lavoratori a tempo pieno, il 9% sono part-time. Quasi la metà del campione (il 47%) ha dichiarato di non avere mai fatto esperienza di volontariato in un grande evento, mentre solo il 9% può essere definito un «volontario seriale». Al termine della selezione, i candidati verranno contattati per un colloquio individuale con «informatori-orientatori» e dovranno seguire 15 ore di auto-formazione obbligatoria on-line. Per i promotori del corso i volontari otterranno le competenze per interagire in un contesto «multiculturale e multilingue, arricchendo il percorso di crescita». Quindici ore per imparare una lingua. O sapere come usarla con i turisti.
Più interessante di questi «percorsi formativi» è la cornice ideologica in cui è stata inserita un’iniziativa che, sin dal luglio 2013, ha prodotto polemiche durissime contro i sindacati confederali e di categoria che firmarono l’accordo con l’Expo sui volontari (allora erano addirittura 18.500), i contratti a termine (300), stagisti (195 con rimborso da 516 euro) e l’apprendistato (340 under 29). L’accordo è stato celebrato come un esperimento pilota a promozione del lavoro giovanile, un prototipo garante dei diritti dei neo-assunti. Nel frattempo, anche grazie all’instancabile attività di contro-informazione dei movimenti milanesi NoExpo, sono state comprese le violazioni delle norme vigenti e lo svuotamento delle tipologie contrattuali adottate. L’accordo è stato l’antesignano, largamente annunciato, del «Jobs Act» renziano e del decreto Poletti che ha cancellato la causalità nei contratti a termine.
Oggi la «moltiplicazione di nuovi plotoni di precari specializzati e di vittime del lavoro gratuito» è una realtà e fu tempestivamente denunciata in un appello da Piergiovanni Alleva, Andrea Fumagalli, Roberto Maggioni, Luciano Muhlbauer, Emanuele Patti, Livio Pepino, Umberto Romagnoli e Guido Viale, tra gli altri (Il Manifesto del 3 agosto 2013). Dall’estate 2013 molte cose sono cambiate. La credibilità dell’Expo ha ricevuto numerosi colpi dalle inchieste e dagli arresti per corruzione e malversazioni.
Nel frattempo i volontari sono diventati l’oggetto di una campagna mediatica basata sull’ideologia della condivisione. Invece di dire a queste persone che, involontariamente, eserciteranno una concorrenza sleale rispetto alle guide turistiche di professione o agli interpreti, i promotori di una campagna mediatica battente e ricca di video li attraggono con l’invito a fare «esperienza, amicizia, essere taggati e avere tanti mi piace» su facebook e nella vita. Gratis. Se un «mi piace» aumenta la quotazione in borsa di Facebook, un volontario verrà usato per dare visibilità all’Expo, presentato non a caso come «il vero social network dell’anno».
«I volontari sono persone che sacrificano la loro vita individuale per il bene altrui — sostiene l’intellettuale e storico del movimento operaio Sergio Bologna in un video appello diffuso dall’associazione dei freelance Acta — Fare il volontario all’Expo significa solo prestare la propria persona gratis a una grande operazione di speculazione immobiliare, a un progetto che continua a fare di Milano una città vetrina del nulla, non più di intelligenze innovatrici, capaci di creare qualcosa per sé, per il Paese, ma di gente che non immagina altro destino se non aspettare i turisti, che lasciano pochi soldi e molti rifiuti». «Cercate di salvare la vostra dignità — continua Bologna — Come? Il primo giorno, il giorno d’apertura, piazzategli uno sciopero, tutti assieme incrociate le braccia! Vi assicuro: vi divertirete da pazzi solo a vedere la faccia di quelli che vi hanno reclutato».
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