Benvenuti a «Italia a 5 Stelle», la fiera delle occasioni perse, una tre giorni organizzata dal M5S al Circo Massimo di Roma alla ricerca di un’identità perduta tra litigi, divisioni e invidie, ma soprattutto dopo 19 mesi trascorsi in parlamento senza ottenere niente di quanto promesso. La prova che per i grillini tutto sembra essersi fermato a quasi due anni fa la dà lo stesso Grillo entrando poco dopo le sei del pomeriggio nell’arena romana ancora mezza vuota. «Noi avevamo vinto le elezioni, abbiamo preso il 25%, eravamo il primo movimento politico d’Italia. Napolitano doveva darci l’incarico», dice. Parole che non si capisce se scandisce con più rabbia o nostalgia e che ripeterà più tardi dal megapalco allestito per l’occasione. Sono le stesse frasi pronunciate più di un anno e mezzo fa, e rappresentano bene il dramma pentastellato: la difficoltà che Grillo e Casaleggio, presente anche lui al Circo Massimo, hanno nello spiegare se il movimento che hanno creato serva ancora a raggiungere gli scopi che si era dato nonostante le divisioni che lo lacerano. «Le fila sono serrate», minimizza Casaleggio rispondendo alla domanda di un cronista proprio sullo sfilacciamento del M5S.
La paura del flop, anche questa mai ammessa, era nell’aria. Al punto che gli organizzatori hanno riempito l’enorme spazio del Circo Massimo con 177 gazebo disposti a forma d’Italia, ma sapientemente montati anche per impedire alla folla di occupare la parte centrale dell’area spingendola sotto il palco in modo da farla sembrare più numerosa. 87 solo i gazebo per le Regioni, due le mega strutture destinate invece ad accogliere i 17 europarlamentari che starebbero anche larghi in una sola. Anche loro, come i deputati e senatori, «ragazzi meravigliosi che fanno un lavoro fantastico», dice Grillo sorvolando sul fatto che gli eurogrillini hanno appena mandato a casa tutto lo staff comunicazione scelto dalla Casaleggio associati e mostrano più di un’insofferenza alle strette regole del movimento.
Ma tant’è, nella tre giorni romana non è importante sottolineare divisioni e problemi, quelli li conoscono tutti. E poi si rischierebbe di far assomigliare tutto al congresso di un partito mentre invece no, «io non sono partito», come canta il rapper Fedez facendo tanto arrabbiare il Pd.
Ecco il Pd. Insieme al presidente della Repubblica Napolitano è il bersaglio che Grillo prende di mira con maggiore accanimento. Il pretesto per attaccare il capo dello Stato è la decisione presa dalla corte d’Assise di Palermo (ma la chiama l’Alta corte) di non acconsentire alla presenza in videoconferenza dei boss Riina e Bagarella all’udienza del processo sulla trattativa stato mafia in cui Napolitano è chiamato a testimoniare il prossimo 28 ottobre. Fin troppo facile la battuta: «Dopo il 41 bis era troppo per loro sopportare anche Napolitano», dice. Per quanto riguarda il Pd e Renzi, il gioco è ancora più facile. «Il jobs act l’hanno fatto i tedeschi», dice. «Sapete che significa? Siginifica prendere uno che fa un lavoro normale, licenziarlo e al suo posto metterne tre con un lavoro precario». Poi chiede scusa per come si è comportato quando incontrò Renzi alla Camera, durante le consultazioni sulla legge elettorale: «Ho sbagliato– dice — Ora direi a Renzi ‘Matteo fai presto a distruggere il paese, fai presto perché serve uno choc e lo choc sta arrivando: è il Jobs act’». Peccato, però, che si guarda bene dal far aderire il M5S alla manifestazione contro il jobs act indetta per il 25 ottobre dalla Cgil.
L’importante è dare la carica. E Grillo lo fa bene: promettendo alla folla nuovi e gloriosi futuri scenari: «Andremo a governare, non ce lo toglie nessuno. Vinceremo sicuramente, lo sanno tutti che è così», assicura. Facendo finta di non vedere i tanti spazi vuoti che riempiono il Circo Massimo.