Gli studenti verso la resa Via dai luoghi simbolo della rivolta anti-Pechino

Gli studenti verso la resa Via dai luoghi simbolo della rivolta anti-Pechino

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HONG KONG . Il pupazzo di un lupo, icona del «governatore fantoccio » CY Leung, viene impiccato al sovrappasso di Central e oscilla tra i grattacieli. I sogni resistono, ma ora dopo ora il potere leale a Pechino guadagna terreno e gli studenti pro-democrazia lo perdono. La “rivoluzione degli ombrelli” sembra aver perso l’attimo. I manifestanti gridano «lotteremo fino alla fine», ma nei loro occhi si legge, se non la resa, il disarmo. Una settimana fa i teenager erano riusciti a paralizzare la metropoli. Gli insorti minacciavano l’assalto ai palazzi del potere, il blocco del governo, la chiusura dei quartieri amministrativi e del business. Sono stati a un passo dallo scontro finale con la polizia. Ora si spaccano invece sugli ordini dei loro portavoce, impartiti via Twitter: ritirarsi da Kowloon, circoscrivere i presìdi ad Admiralty, sgomberare pure una delle arterie del distretto politico. Viene autorizzato «un corridoio»: i colletti bianchi della finanza e i tremila funzionari del governo potranno andare in ufficio e le scuole riapriranno.
La settimana delle ferie cinesi è finita e anche nell’ex colonia britannica si torna a fare i conti con la realtà. La rivoluzione pacifica rischia di ridursi a una manifestazione permanente, attenta a disturbare il meno possibile. In cambio di cosa? Concretamente, di nulla. Il chief executive non si è dimesso, di garanzie democratiche non c’è ombra. Il governo si limita a prospettare «un dialogo sulla riforma costituzionale ». «Non siamo contro Hong Kong — dice il primo eroe della rivolta, Joshua Wong — vogliamo solo che sia democratica». Accusa il potere di non fermare le violenze dei filo-cinesi contro gli studenti anti-Pechino, né di arrestare la repressione della polizia con idranti e spray urticanti.
Non può però negare l’amara evidenza: la gente di Hong Kong non scende in massa per le strade nemmeno di domenica e lascia i propri figli soli. Nei quartieri commerciali, tra Mong Kok e Causeway, la rabbia per gli affari perduti sfocia in una violenta contro-rivolta. Anche oggi attacchi e pestaggi, 165 feriti. Spadroneggiano i criminali delle triadi, i mercenari e i provocatori assoldati dal partito, ma migliaia di antimanifestanti non vogliono semplicemente avere problemi. «Noi per vivere dobbiamo lavorare — gridano — per voi paga il papà». La ri-cinesizzazione di Hong Kong appare compiuta, «un Paese e un sistema », con il consumismo che per la prima volta respinge, invece di favorire, la democrazia. Il presagio della tregua forzata, nel pomeriggio. Un uomo sale sul sovrappasso del metrò a Tamar, proprio sopra il quartier generale dei manifestanti. Minaccia di buttarsi. T-shirt nera e coccarda gialla, grida di essere per la democrazia, ma pure padre di tre figli che devono andare a scuola. Intima la rimozione delle barricate, convoca i capi. Un pro-democratico solo contro migliaia di prodemocratici, l’immagine di una Tiananmen alla rovescia 25 anni dopo. Ore con il fiato sospeso, le dirette che fanno il giro del mondo, prima di scoprire sul web l’ennesima messinscena della propaganda: l’aspirante suicida è uno stuntman, non ha figli e fa da scorta ai dirigenti comunisti. La folla gli grida «dai salta!», viene portato via, ma la beffa ha permesso a polizia e pompieri di sgomberare il cuore dei presìdi. «Questo regime — dice Benny Tai — sa solo mentire».
Per questo il problema ora è vedere se gli ordini dei delegati degli studenti e di Occupy central, ormai ridotti a impedire a CY Leung di sedersi nel suo ufficio, vengono rispettati. I dissidenti interni che non vogliono smantellare barricate e accampamenti, nella notte restano migliaia. «Non ci muoviamo — assicurano — è una rivolta spontanea, ognuno fa ciò che crede giusto». Il timore è che la repressione, scaduto l’ultimatum, si scateni solo contro gli irriducibili, disorientati. La protesta continua, ma se oltre ad essere pacifica tiene conto di affari, traffico e orari d’ufficio, neanche gli inguaribili ottimisti adesso vedono come possa donare la democrazia ai ragazzi che la chiedono. E se resta un sogno a Hong Kong, nel resto della Cina non è nemmeno un miraggio.



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