Muore l’operaio edile che si era dato fuoco

Muore l’operaio edile che si era dato fuoco

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Si era dato fuoco a piazza Risor­gi­mento, nel cuore di Cata­nia, per pro­te­stare con­tro i vigili urbani che gli ave­vano seque­strato, nel corso di un’operazione anti­a­bu­si­vi­smo, le cas­sette di frutta con cui cer­cava di sbar­care il luna­rio dopo aver perso il lavoro di ope­raio edile. È morto ieri mat­tina all’ospedale Can­niz­zaro, Sal­va­tore La Fata, dopo dieci giorni di ago­nia e le com­pli­ca­zioni soprav­ve­nute nelle ultime ore. Fran­ce­sco Maria Mar­chese, legale della fami­glia dell’operaio, spiega che a que­sto punto per gli agenti potrebbe scat­tare l’accusa di omi­ci­dio col­poso, che si andrebbe a inte­grare a quella di isti­ga­zione al sui­ci­dio e omis­sione di soccorso.

Sì, per­ché appare plau­si­bile che quel 19 set­tem­bre, alla «minac­cia» di La Fata di darsi fuoco, i vigili abbiano repli­cato «Sì ma fallo più in là», forse sot­to­va­lu­tando le inten­zioni dell’ambulante. Così come sem­bra che nes­suno sia inter­ve­nuto nei 40 secondi in cui l’operaio andava tra­sfor­man­dosi in una tor­cia umana. Non i vigili, non i pas­santi. Lo stesso La Fata, stando alle poche testi­mo­nianze, avrebbe pro­vato a sal­varsi get­tan­dosi addosso un sec­chio d’acqua con cui era solito sciac­quare la frutta. Ma era già troppo tardi.

«Ai fami­liari rivol­giamo il nostro abbrac­cio e la nostra soli­da­rietà — dice Clau­dio Longo (Fil­lea Cgil) durante un sit in dei sin­da­cati orga­niz­zato ieri sera davanti alla pre­fet­tura -. Alle isti­tu­zioni, al pre­fetto, al Comune, invece, chie­diamo di essere con­vo­cati al più pre­sto, di aprire subito una sede di con­fronto. Chie­diamo di sbloc­care le opere can­tie­ra­bili per dare un po’ di respiro ai lavo­ra­tori del set­tore che a migliaia, come Sal­va­tore, hanno perso il posto negli ultimi anni».

Tan­tis­simi i mes­saggi di cor­do­glio e di scon­certo sui social. Per Luca Can­gemi (Prc), «la morte di Sal­va­tore richiede verità e giu­sti­zia rispetto alle cir­co­stanze in cui è avve­nuta, e impone una con­danna della classe diri­gente che ha tra­sfor­mato Cata­nia in un luogo di dispe­ra­zione». Gio­vanna Coci si chiede «chi, adesso, prov­ve­derà alla sua fami­glia?». Per Renato Gan­gemi «Sal­va­tore è stato trat­tato come un delin­quente, per­ché pro­vava a gua­da­gnare qual­cosa. Le isti­tu­zioni dove sono?». Ma è Gof­fredo D’Antona, avvo­cato e atti­vi­sta sociale, che sin­te­tizza meglio il qua­dro di que­sta gior­nata nera per la città etnea: «Non si può morire per una cas­setta di frutta».



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