Il gran rifiuto di Villepin “Usa e Francia sbagliano contro il terrorismo non basta bombardare”
PARIGI. SE C’È qualcuno che potrebbe vantarsi del classico “Io l’avevo detto”, è lui. Nel 2003 Dominique de Villepin pronunciò il famoso discorso alle Nazioni Uniti per annunciare il gran rifiuto della Francia alla guerra americana in Iraq. L’allora ministro degli Esteri contestava tra l’altro la formula dell’amministrazione Bush “guerra al Terrore”, ora di nuovo di attualità. «Gli Stati Uniti hanno sbagliato ad andare in Iraq e, dopo, a partire » chiosa l’ex premier, oggi come ieri contrario all’intervento occidentale nella regione, nonostante la barbarie degli ostaggi, delle decapitazioni e delle persecuzioni contro i cristiani. «Non possiamo — spiega — tentare di placare l’emozione dell’opinione pubblica con delle operazioni militari frettolose».
Come si può rimanere indifferenti davanti ai video e alle minacce dell’Is?
«La rabbia immensa davanti alla barbarie ci impone di agire. Siamo solidali con queste famiglie francesi, italiane, britanniche, che oggi hanno paura per i loro cari. Ma troppo spesso diamo sfogo a una rabbia impotente. La forza delle nostre democrazie si esprime con una strategia politica. Preferisco un’azione segreta, che tenga conto della complessità della situazione, che un’azione spettacolare, semplicista e priva di qualsiasi efficacia».
La Francia non dovrebbe partecipare ai raid?
«L’Is costituisce una tripla minaccia: per l’Iraq e Siria con le sue basi, per il Medio Oriente ravvivando lo scontro tra sunniti e sciiti e per il mondo intero attraendo jihadisti da ogni dove. Ma la costituzione di una coalizione militare dominata dagli Stati Uniti è un approccio controproduttivo e pericoloso. È un modo di legittimare l’Is come avversario credibile e tende a unire gruppi terroristi fino ad oggi ostili e concorrent»”.
L’Occidente può rispondere senza armi?
«Bisogna uccidere per asfissia politica l’Is, dissociando l’organizzazione dalle élite locali, capi di tribù o quartieri. Per questo, ci devono essere discussioni sull’avvenire dello Stato iracheno e della struttura religiosa. Bisogna anche prosciugare il flusso di nuove risorse, soldi o uomini, attraverso una battaglia su Internet contro i predicatori di odio, il reclutamento di nuove leve per la jihad, la caccia alle reti di finanziamento».
E sul piano militare?
«La strategia di asfissia deve essere accompagnata da un contenimento militare, con raid su alcune postazioni e sulla linea del fronte, in Kurdistan e in Giordania, ma organizzati dalle forze militare dei paesi vicini ».
La guerra del 2003 in Iraq è il peccato originale?
«Gli Stati Uniti hanno una pesante responsabilità. Prima con l’intervento del 2003 e poi con il ritiro mal gestito nel 2011. Senza parlare del sostegno al regime settario di Al Maliki e dell’abbandono dei ribelli siriani nel 2013».
I raid ora si allargano anche alla Siria.
«Sì ma noto che si tratta di raid mirati contro un altro gruppo terrorista, Khorasan, che minaccia direttamente la sicurezza americana. La partecipazione o il sostegno dei paesi del Golfo è un segno positivo: dimostra un coinvolgimento a livello regionale».
Teme un’escalation in tutta la regione?
«Il Medio Oriente attraversa un’immensa crisi di modernizzazione sociale e politica. Solo i popoli possono creare la pace e il progresso a casa loro. Finora l’Occidente non ha fatto altro che buttare olio sul fuoco, alternando entusiasmi ed indecisioni. Oggi bisogna favorire il riavvicinamento tra le due potenze rivali, Arabia Saudita e Iran».
François Hollande ha sbagliato tutto?
«Difendere gli interessi della Francia nel mondo è compito del presidente. Ma non vorrei che cercasse di compensare la sua debolezza interna privilegiando l’uso della forza in Mali, Centrafrica, Iraq o in Libia. Nelle crisi internazionali la Francia deve restare fedele alla sua vocazione da mediatore”.
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