Ocse, l’Italia taglia la scuola ma i prof resistono

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Istruzione. . Gli stipendi dimagriscono, aumenta la sfiducia tra gli studenti. Cresce però la qualità dell’istruzione di base grazie all’impegno dei docenti, ma si rafforzano le diseguaglianze nell’accesso al sapere

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Primo tra i paesi Ocse per tagli all’istruzione, l’Italia si aggiu­dica anche per il 2014 il pri­mato per la cre­scita della disper­sione sco­la­stica, il delu­dente tasso dei lau­reati e quello degli inse­gnanti meno pagati. Una let­tura attenta del rap­porto «Uno sguardo all’istruzione 2014» pub­bli­cato ieri dall’Ocse per­mette di dimo­strare che la cre­scita delle dise­gua­glianze è la con­se­guenza diretta dei tagli alla spesa pub­blica per l’istruzione fatti dal governo Ber­lu­sconi tra il 2008 e il 2012 (8,4 miliardi di euro alla scuola, 1,1 all’università, per un totale di 9,5 miliardi).

Que­sta ope­ra­zione ha raf­for­zato una ten­denza inau­gu­rata fin dal 2000. Tra i 34 paesi esa­mi­nati, l’Italia è l’unico paese che ha regi­strato una dimi­nu­zione della spesa pub­blica per le isti­tu­zioni sco­la­sti­che tra il 2000 e il 2011 (8 anni gover­nati dal centro-destra e 2 dal cen­tro­si­ni­stra) ed è l’unico paese tra quelli capi­ta­li­sti dov’è stata regi­strata la ridu­zione più cospi­cua del volume degli inve­sti­menti pub­blici: il 5%.
Con l’avvento della crisi, pro­prio nel momento in cui tutti gli altri paesi hanno inve­stito sulla cono­scenza (+25% la Ger­ma­nia, +41% la Fin­lan­dia, tra i paesi Ocse la media è del 38%), il nostro paese ha tagliato la spesa del 3%.

La deci­sione di stroz­zare l’istruzione pub­blica è stata presa prima dell’attacco ber­lu­sco­niano senza pre­ce­denti nella sto­ria ita­liana, e ha tro­vato in quel governo una radi­cale appli­ca­zione. Nel 2011 la spesa per gli stu­denti di tutte le scuole era infe­riore del 4% rispetto al 1995. Con i tagli Gel­mini e Tre­monti è crol­lata del 12%. Que­sta per­cen­tuale sarebbe peg­giore se non fosse aumen­tato il finan­zia­mento pri­vato. Per l’Ocse è quasi rad­dop­piato tra il 2000 e il 2011: nel 2000 il finan­zia­mento pub­blico era pari al 94%, nel 2011 all’89%.

Que­sti dati sono tut­ta­via lacu­nosi. L’aumento deriva da un aumento delle tasse uni­ver­si­ta­rie: per la Flc-Cgil del 75%. E poi dal pro­gres­sivo disi­ve­sti­mento sul diritto allo stu­dio: tra il 2012 e il 2013 il fondo per le borse di stu­dio è sceso da 163 a 151 milioni di euro per arri­vare a circa 113 milioni. I pri­vati di cui parla l’Ocse sono in realtà le fami­glie che sup­pli­scono ai tagli dello Stato, finan­ziando gli studi dei figli.

Que­sta situa­zione ha peg­gio­rato le con­di­zioni degli inse­gnanti delle ele­men­tari e medie. Per l’Ocse tra il 2008 e il 2012 le loro buste paga sono dimi­nuite in media del 2%. Dal 2005 al 2012 quelle dei docenti di ogni grado, e con 15 anni di espe­rienza, sono state taglieg­giate del 4,5%. È la «spen­ding review» in salsa gel­mi­niana: rispar­miare sui costi sala­riali, tagliare le cat­te­dre e aumen­tare gli alunni per classe del 15% nella pri­ma­ria e del 22% nella scuola media.

Nel frat­tempo è stato bloc­cato il con­tratto dal 2009 insieme al turn-over. Nel 2012 il 62% dei pro­fes­sori aveva più di 50 anni (48% nel 2002). È la più alta per­cen­tuale di inse­gnanti over 50 dei paesi Ocse. Mal­pa­gati ed emar­gi­nati, i docenti hanno tut­ta­via con­ti­nuato a lavo­rare in classi sem­pre più nume­rose («pol­laio») e con pro­fitto. La qua­lità dell’istruzione di base è aumen­tata. Con la Polo­nia e il Por­to­gallo, l’Italia ha ridotto tra il 2003 e il 2012 la quota di 15enni in grave dif­fi­coltà in mate­ma­tica. Il dato ieri è stato inter­pre­tato in maniera fuor­viante: la qua­lità non dipende dal numero degli inse­gnanti o dai fondi, ma dal loro «merito». È invece pos­si­bile che sia un atto estremo di resistenza.

I tagli alla spesa pub­blica desti­nata all’istruzione hanno influito, diret­ta­mente o indi­ret­ta­mente anche sul tasso degli abban­doni sco­la­stici. Tra il 2010 e il 2012, quando le for­bici erano in azione, è aumen­tata la quota dei 15-19enni che non vanno a scuola. Nel 2010 il tasso di iscri­zione era dell’83,3% ed è sceso all’80,8%, con­tro una media Ocse dell’83,5%. Nel 2012 solo l’86% dei 17enni era ancora a scuola e si stima che solo il 47% dei 18enni si iscri­verà all’Università (51% del 2008; 58% media Ocse e del G20). La per­cen­tuale dei 25-34enni che non ha ter­mi­nato la scuola supe­riore è pas­sata dal 41% del 2000 al 28% del 2012 (17,4% Ocse).

Il mini­stro dell’Istruzione Ste­fa­nia Gian­nini ieri si è detta pre­oc­cu­pata per i tagli e i loro effetti, ma non risulta che l’esecutivo si pro­ponga di rifi­nan­ziare il sistema. Ha detto che l’assunzione di 150 mila pre­cari nella scuola inver­tirà la ten­denza, ma ancora non si sa dove tro­verà i 4,1 miliardi di euro neces­sari a regime.

Quello che è certo è che le «linee guida» del «patto edu­ca­tivo» can­cel­le­ranno gli scatti di anzia­nità, stru­mento di resi­stenza con­tro l’impoverimento dei docenti, desti­nando risorse al merito del 66% dei docenti. E non di tutti. Gli sti­pendi aumen­te­ranno vin­co­lando il loro red­dito alla «pro­dut­ti­vità» e al volere dei «presidi-manager». Gian­nini ha inol­tre riba­dito l’intenzione di raf­for­zare il «modello tede­sco» dell’alternanza scuola-lavoro, por­tando le aziende nelle scuole tec­ni­che e professionali.

Con que­sto stru­mento par­ziale si cerca di rea­gire alla disoc­cu­pa­zione gio­va­nile (42,9%), offrendo un’alternativa al 24,6% dei gio­vani «neet» o al 53% dei 19enni che non si iscri­vono all’università. Il pro­blema è invece di sistema: i lau­reati sono aumen­tati dall’11% al 22% (il 62% dei nuovi lau­reati è donna, erano il 56% nel 2000), ma l’Italia resta al 34° posto su 37. Ha fal­lito la riforma «Berlinguer-Zecchino», che voleva raf­for­zare la «com­pe­ti­ti­vità» di que­sto sistema. Si dovrebbe invece pun­tare sul valore del titolo di studio.

L’Ocse dimo­stra che una lau­rea, o un diploma, ser­vono per garan­tirsi un red­dito e la spe­ranza di una minore disoc­cu­pa­zione in un qua­dro di gene­rale pre­ca­rietà. Una pro­spet­tiva inde­bo­lita dall’attacco all’istruzione pub­blica, dalla dere­go­la­men­ta­zione del mer­cato del lavoro e dalla crisi che hanno aumen­tato le dif­fe­renze di classe. Il 65% dei 25-34enni lau­reati ha almeno un geni­tore lau­reato, il 23% nem­meno uno. Il diva­rio di red­dito tra lau­reati e diplo­mati supe­riori è cre­sciuto due volte in più, come quello tra diplo­mati supe­riori e chi non è diplomato.



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