Il massacro delle missionarie italiane in Burundi
Avevano scelto di restare in Burundi malgrado l’età avanzata e i problemi di salute. Tre suore italiane — Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian — sono state uccise domenica a Bujumbura, capitale del Burundi. Un massacro efferato, avvenuto in due tempi e con modalità ancora poco chiare in un convento delle missionarie saveriane a Kamenge, zona nord della città. Fonti della polizia locale riferiscono che le tre religiose sono state violentate e che una di loro è stata addirittura decapitata. Ma la cosa — soprattutto per quanto riguarda la violenza sessuale — non trova per ora conferma dai vertici della congregazione, che parlano di pestaggio. Solo una suora congolese sarebbe sfuggita all’eccidio.
Il governo burundese ieri esprimeva «indignazione» per un «atto ignobile perpetrato contro appartenenti a una congregazione della chiesa cattolica la cui opera è molto apprezzata in tutto il Burundi e in particolare nel quartiere Kamenge» e invita la polizia a individuare e a punire «severamente» i responsabili. La nota dell’esecutivo si chiude con il monito a non utilizzare l’accaduto per «speculazioni finalizzate a seminare confusione»… Una chiosa che racconta tra le righe delle tensioni di nuovo in aumento tra Burundi e Ruanda. Da giorni le autorità burundesi denunciano con forza infiltrazioni a tutti i livelli dal vicino Ruanda, nelle chiese, nelle imprese e persino tra le prostitute, con cui il regime di Paul Kagame mirerebbe a destabilizzare il Paese e l’intera regione. A soffiare sul fuoco ieri ci ha pensato l’ambasciatore burundese in Belgio, il quale non solo sostiene che il crimine compiuto contro le religiose italiane sia opera di cittadini ruandesi, ma accusa apertamente l’intelligence di Kigali e sostiene che i responsabili andrebbero ricercati nelle residenze dell’Adc-Ikibiri (Alleanza dei democratici per il cambiamento), la formazione che raggruppa diverse anime dell’opposizione. E che accusa il presidente Pierre Nkurunziza di violare — correndo per un terzo mandato alle elezioni previste nel 2015 — gli accordi di pace firmati a Arusha nel 2000 sotto l’egida di Nelson Mandela. Da parte sua il partito di governo Cndd-Fdd (Consiglio nazionale per la difesa della democrazia e Forze per la difesa della democrazia) accusa l’opposizione — che aveva già boicottato le presidenziali nel 2010 denunciando brogli — di cinico calcolo politico: avendo capito di non avere chance nella tornata elettorale del prossimo anno punterebbe a un governo transitorio di unità nazionale, ispirato dal Ruanda, della durata di 3 anni.
Una situazione potenzialmente incendiaria, alimentata dalla fragilità della pace scaturita dal cessate il fuoco del 1993, siglato dopo 40 anni di conflitto civile e circa 250mila morti. L’attuale Costituzione, anziché scardinare l’artificio hutu-tutsi, impone delle quote (60% ai primi, 40 ai secondi) nel governo. La separazione fittizia prosegue, producendo ancora fibrillazioni e deliri.
In Burundi ne abbiamo un esempio nella sequela di omicidi politici in cui sono caduti sia membri del Cndd-Fdd che esponenti dell’ex formazione ribelle Fnl (Forze di liberazione nazionale). E a dividere sono leggi come quella che istituisce una commissione con il potere di scavalcare i tribunali sulle controversie legate alla proprietà di «terre e altri beni»: per il partito Uprona, di «fede» tutsi, è un modo di sabotare il processo di riconciliazione nazionale. Più recentemente ha suscitato proteste la stretta governativa sulla libertà d’informazione e la recente legge sulle lingue e i nomi nazionali. I tutsi che rivendicano ascendenze israelite l’hanno paragonata alle misure antisemite adottate nella Russia zarista nel 1881.
Il massacro delle tre religiose rischia così di inserirsi in un contesto già intossicato.
Le prime ad essere aggredite sono state Lucia, 75 anni, e Olga, 83. Dopo il ritrovamento dei loro corpi le altre religiose hanno scelto di restare nella casa. Nella notte il nuovo assalto. «Le sorelle sono tornate a chiamarmi — ha raccontato all’agenzia Misna il superiore dei missionari saveriani in Burundi, Mario Pulcini -. Temevano che l’aggressore fosse in casa. Quando siamo riusciti a entrare abbiamo trovato anche Bernardetta (79 anni, ndr), senza vita».
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