Amerli è libera, rotto l’assedio dell’Is

Amerli è libera, rotto l’assedio dell’Is

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I PESHMERGA sono entrati per primi, guardinghi, con i mitra spianati. Poi, sempre dal settore orientale sono arrivati i soldati iracheni e le milizie sciite. E’ finito così l’incubo di Amerli, cittadina di 20mila abitanti, 160 chilometri a nord di Bagdad, stretta dal 18 giugno scorso nel soffocante assedio degli squadroni dello Stato islamico. Ieri mattina, dopo 73 giorni vissuti nel terrore di finire in mano jihadista, l’accerchiamento di questa popolazione doppiamente “apostata”, perché turcomanna e perché sciita, è stato finalmente infranto. Appena ci saranno le condizioni per creare un corridoio umanitario, si spera nelle prossime ore, migliaia di bambini, donne e malati, che da settimane vivono con pochi viveri e pochissime medicine, saranno evacuati verso Erbil e Kirkuk.
A rompere l’accerchiamento è stata un’operazione militare lanciata dagli uomini dell’esercito federale iracheno assieme ai combattenti curdi e alle milizie sciite, generosamente spalleggiati dai caccia iracheni e statunitensi. E’ quindi bastata la volontà di Washington e la concertazione tra eserciti locali per mettere fine a una tragedia che stava per trasformarsi in un ennesimo eccidio islamista. Ma sul terreno la situazione è ancora molto precaria, perché i fondamentalisti sono ancora accampati in alcuni settori della città, soltanto a pochi chilometri dal centro, e si continua a sparare.
In queste settimane, armati dei loro vecchi kalashnikov o di arrugginite doppiette, gli uomini di Amerli hanno strenuamente difeso la loro città. Le poche volte che gli elicotteri iracheni lasciavano cadere viveri, loro inveivano alzando i pugni al cielo, perché al posto di taniche d’acqua e di razioni alimentari avrebbero preferito
ricevere lanciarazzi e fucili di precisione. Chissà quanti di questi combattenti improvvisati sono eroicamente caduti sotto il piombo delle armi più sofisticate e potenti dei jihadisti. Da dieci giorni, stufo di tanta resistenza, soprattutto dopo l’inarrestabile avanzata nel nord dell’Iraq dello scorso giugno,
lo Stato islamico aveva deciso di inviare alle porte di Amerli postazioni di mortaio. E da allora la cittadina e le sue barricate sono state pesantemente colpite dai loro colpi.
L’intervento su Amerli è anche una vittoria per Marzio Babille, triestino, 62 anni, rappresentante Unicef in Iraq,
che per primo, due settimane fa proprio su Repubblica, ha denunciato l’agonia dei turcomanni sciiti. Dice adesso Babille, che da giorni è in stretto contatto con il sindaco della città, Shalal Abdul, e con il capo delle milizie locali: «Al momento, nessun abitante di Amerli ha ancora potuto lasciare la città.
Ma noi siamo pronti a intervenire massicciamente per evacuare 3500 bambini, appena vi saranno le condizioni di sicurezza necessarie a farlo. Abbiamo approntato il nostro piano da tempo, e ora aspettiamo solo di poter intervenire. Date le circostanze, il momento dovrebbe essere molto vicino».
Sabato scorso, quando s’è messa in moto la macchina degli interventi militari e umanitari, Stati Uniti, Australia, Francia e Gran Bretagna hanno paracaduto circa 40mila litri d’acqua e 7mila pasti. In quel momento, le truppe di terra cominciavano la loro avanzata verso Amerli, prima con la riconquista di una ventina di villaggi, poi con l’ingresso in città, dove i soldati di questa inedita alleanza sono stati acclamati come liberatori. Adesso sono tutti alla ricerca di mine anti-uomo disseminate dagli islamisti in fuga, ma per i soldati di Bagdad questa operazione segna il più grande successo militare dal momento in cui è partita l’offensiva dello Stato islamico.



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