Fiat-Chrysler scongiura il rischio recesso Wall Street a un passo
RIMINI . Ieri mattina, entrando nella sala del cda di Exor, al quarto piano della palazzina del Lingotto, Sergio Marchionne ha potuto consegnare agli azionisti Fiat il risultato di cinque anni di lavoro. Forse solo nella primavera del 2005, facendo ingresso nello stesso palazzo di ritorno dagli Stati Uniti, aveva potuto mostrare la medesima orgogliosa soddisfazione. Nove anni fa aveva sciolto il matrimonio con Gm ricavandone due miliardi di dollari, pilastro decisivo per avviare il risanamento della Fiat. Ieri ha potuto annunciare il superamento dell’ultimo ostacolo sulla strada che conduce alla quotazione di Wall Street. Anche questa volta non è stato facile, anzi si è trattato di un’operazione «di complessità inattesa» come ha ammesso l’ad. Le «stravaganze di Borsa» cui faceva riferimento ieri il comunicato Fiat non sono altro che le pressioni dei fondi contrari alla fusione che hanno votato contro il progetto in assemblea e hanno minacciato di esercitare il diritto di recesso per far saltare l’operazione. Solo il 4 settembre si saprà qual è stata la vera consistenza della fronda. Ma non sarà comunque sufficiente a raggiungere l’obiettivo.
Da ieri dunque si volta pagina. La telenovela della fusione volge al termine e conoscerà il suo happy end una mattina di metà ottobre quando nella sala di un palazzo costruito nella parte sud di Manhattan John Elkann scuoterà il batacchio di una campana dando il via alle contrattazioni di Wall Street, privilegio riservato ogni giorno alle new entry nel listino più importante del mondo. A quella data si dovranno avere più certezze di oggi su due punti cardine nel futuro immediato di Fca: i tempi dell’uscita dei nuovi modelli e la decisione su un aumento di capitale che gli analisti definiscono da mesi inevitabile e che forse non arriverà mai.
Nuovi prodotti e aumento di capitale sono infatti due questioni intrecciate. Il piano presentato a maggio prevede entro fine 2014 il lancio dei due modelli prodotti a Melfi, i minisuv Renegade (con il marchio Jeep) e 500X: quest’ultima che verrà presentata a ottobre
al Salone di Parigi. Si tratta di auto realizzate sulla piattaforma delle utilitarie e che dovrebbero garantire buoni volumi di vendita. Nel 2015 invece dovrebbero uscire l’Alfa Giulia, realizzata a Cassino e il suv Maserati prodotto a Mirafiori. È evidente che la scommessa più importante è quella sul rilancio dell’Alfa che partirà con la Giulia. Un piano modelli che costerà almeno tre miliardi per il solo marchio del Biscione.
Dove prenderà i soldi il Lingotto? «Si tratta di trovare la cassa per i prossimi diciotto mesi, e credo che le vendite potranno generarla», ha detto Marchionne in occasione dell’ultima assemblea degli azionisti. Aggiungendo che in ogni caso «è una decisione che spetta al cda». Certo, se il successo dei minisuv, dei primi modelli Alfa e della Maserati fosse consistente, si potrebbe arrivare al 2016 senza aumenti di capitale e sperare che a quel punto il resto dei nuovi modelli in programma generi cassa senza iniezioni esterne. Anche per queste ragioni la
frase forse più significativa pronunciata ieri dall’amministratore delegato nel giorno del successo è il riferimento al fatto che Fca entra «in una fase di realizzazione destinata a migliorare drasticamente il posizionamento di mercato dei nostri marchi». Dunque, sistemata la partita finanziaria, è arrivato il momento dei nuovi modelli: dai guru della Borsa agli ingegneri. Una svolta attesa da tempo dalle migliaia di dipendenti Fiat oggi in cassa integrazione. Un primo effetto si vedrà nei prossimi giorni alla Maserati di Grugliasco che aumenterà da 10 a 12 i turni di lavoro settimanali. Operai e impiegati degli altri stabilimenti italiani sperano che l’episodio sia di buon auspicio anche per loro.
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