Dal concepimento ai matrimoni gay Il diritto di famiglia riscritto dai tribunali

Dal concepimento ai matrimoni gay Il diritto di famiglia riscritto dai tribunali

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Da oggi in Italia c’è una bimba che ha legalmente due mamme (gay) e porta entrambi i loro cognomi. Si chiama «adozione cogenitoriale» o, per dirla all’inglese, stepchild adoption , adozione del figlio del partner dello stesso sesso. L’aveva promessa l’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi nel novembre scorso, durante la campagna per le primarie del Pd. Ma è arrivata grazie a una sentenza di un tribunale, quello dei Minorenni di Roma, mentre il disegno di legge del Pd che la prevede è ancora fermo in Commissione Giustizia.

Ed è solo l’ultima di una serie di modifiche al diritto di famiglia riconosciute a suon di pronunciamenti dei giudici, invece che grazie a leggi del Parlamento. Molte di queste riguardano le coppie omosessuali, come la trascrizione del matrimonio celebrato all’estero, il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare all’extracomunitario sposato in un altro Paese, o il diritto a iscrivere il coniuge alla propria mutua professionale. Altre affrontano le nuove possibilità aperte dalla tecnologia, come la fecondazione assistita: la legge 40 che tra l’altro vietava l’eterologa è stata smontata pezzo per pezzo nelle aule di giustizia, fino a quando due settimane fa il Tribunale di Bologna ha sancito che questo tipo di fecondazione poteva essere praticata subito, nonostante il governo avesse annunciato una sorta di moratoria. I magistrati hanno superato i tempi della politica. «Si tratta di casi in cui sono in questione diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalle carte dei diritti: per questo i magistrati sono chiamati a tutelarli anche in assenza di norme specifiche, o contro di esse se si rivelano sotto alcuni profili incostituzionali, come la legge 40», dice Barbara Pezzini, studiosa di Diritto costituzionale e preside della Facoltà di Giurisprudenza a Bergamo. Eppure la sentenza di ieri ha suscitato anche molte critiche, con l’associazione dei Giuristi cattolici che l’ha accusata di aver compiuto una «fuga in avanti», che «crea un paradigma presente in altri Paesi, dove però c’è una legge che lo riconosce».
Riconosciuti i doveri di cura
Il Tribunale di Roma infatti ha riconosciuto la responsabilità genitoriale anche alla cosidetta «madre sociale» (quella che non ha legami di sangue con la figlia). La stepchild adoption è molto diversa dall’adozione comune (l’affido a una coppia di un bimbo che non ha relazioni con i suoi futuri genitori, che rimane illegale), ma la decisione è senza precedenti per l’Italia. Si basa però su una legge che ha oltre trent’anni, quella su adozione e affidamento dei minori del 1983. L’articolo 44 lettera D stabilisce, secondo quanto ricorda il collegio nella motivazione della sentenza, che bisogna sempre fare l’interesse del minore e che se c’è un rapporto consolidato del bambino con un adulto che gli fa da genitore, si possano riconoscere a quella persona dei doveri, economici e di cura, nei suoi confronti. «L’unica cosa che i giudici dovevano accertare prima di arrivare a questa conclusione, è se avere due genitori dello stesso sesso danneggiava la bimba — sostiene Marco Gattuso, magistrato del Tribunale di Bologna e direttore di Articolo29.it, sito di analisi sulla giurisprudenza dei diritti lgbt —. Sulla base di precedenti di legge italiani e europei hanno affermato che la genitorialità gay è sana e quindi neutra. Prima di garantire l’adozione hanno poi controllato, esattamente come succede con i figli delle coppie eterosessuali, che il bambino fosse ben curato e tutelato».
La trascrizione delle nozze
È stato un tribunale, quello di Grosseto, a ordinare la prima trascrizione nel registro di stato civile di un matrimonio tra persone dello stesso sesso sposate all’estero, che ha poi «incoraggiato» una serie di sindaci ad agire di propria iniziativa. Ha cominciato il Comune di Fano, poi Napoli e Bologna. La battaglia giudiziaria, però, è tutt’altro che finita: contro l’ordinanza di Grosseto ha fatto ricorso la Procura (verrà discusso a settembre), mentre il pm di Pesaro mercoledì scorso ha impugnato la trascrizione fatta dal primo cittadino: l’udienza si terrà il 14 ottobre.
La Corte europea dei diritti
Intanto da un anno a Strasburgo è arrivato il plico con il ricorso di Antonio Garullo, 48 anni, e Mario Ottocento, 41: la prima coppia gay italiana a sposarsi all’estero, nel 2002 in Olanda. Nel 2011 la Cassazione ha negato il riconoscimento delle loro nozze (che va ben oltre la trascrizione, di fatto solo formale, concessa dai sindaci). Ora la chiedono alla Corte europea dei diritti umani. Se venisse accolto il loro ricorso il matrimonio gay sarebbe legale anche in Italia. Pesa anche la sentenza 138 del 2010 della Corte costituzionale: ha sancito che la convivenza di una coppia gay deve essere considerata tra le formazioni sociali tutelate dalla Costituzione, «ottenendone — nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». «I giudici hanno affermato che serve un riconoscimento giuridico per le coppie gay: in termini tecnici parlare di “diritto fondamentale” significa indicare che deve essere garantito al più presto», spiega la costituzionalista Pezzini. Hanno però lasciato al legislatore il compito di stabilire in che termini: se con nozze o unioni civili.
La discussione parlamentare
Il Parlamento non ha ancora deciso come regolare le nuove famiglie. Tra il 1988 e il 1996 è stata presentata una sola proposta di legge a legislatura sulle unioni gay. Tra il 2006 e il 2008 sono state depositate 21 proposte e un disegno di legge, quello del governo Prodi sui Dico, poi naufragato. Tra il 2008 e il 2013 si è cominciato a discutere di matrimonio (3 progetti, 16 per le unioni civili). Al momento in Parlamento ci sono tre testi su matrimonio e adozioni gay, e almeno altre tre sulle unioni civili, tra cui quella Cirinnà che prevede la stepchild adoption . Non sono mai stati calendarizzati per la discussione in aula. E anche la legge Scalfarotto contro l’omofobia, approvata alla Camera sotto il governo Letta, si è arenata in Senato.
Elena Tebano


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