Ancora una strage tra la Sicilia e l’Africa E l’Europa fa un passo
POZZALLO (Ragusa) — Non c’è spazio per i vivi e nemmeno per i morti: alle nove di sera ancora non si sa dove e quando andranno sepolti i diciotto cadaveri. Per adesso restano nelle celle frigorifere di questa struttura della Protezione civile trasformata in ospedale da campo e in obitorio. È stata chiesta ai sindaci della zona la disponibilità nei cimiteri, loro stanno facendo i censimenti, per contare lo spazio libero, nelle prossime daranno una risposta e forse si vedrà. A ciascuno i propri morti. S’avanza piano, passo dopo passo, con generosità e fatica dinanzi a numeri atroci. S’avanza inseguendo, mai anticipando. S’avanza alla giornata, ormai, confidando in qualunque cosa. A cominciare naturalmente dagli eventi esterni: così, se come ora s’alza ancor di più il vento, il mare s’increspa e i marinai mugugnano, questo maresciallo dei carabinieri impegnato da sabato nei soccorsi accenna un sorriso di fatica: «Con le onde alte, magari gli scafisti non partono». Ci si aggrappa a niente. Torna dall’ospedale, il maresciallo, dove hanno ricoverato due donne, incinte, e due uomini, che appena toccata terra si sono accasciati e hanno perso i sensi. Tutti dovrebbero stare bene. Il maresciallo chiede a un collega se nei diciotti morti ci sono bambini. L’altro scuote la testa: «Mi sembra di no». I deceduti sono tutti uomini, adulti.
Sulle coste siciliane, in nemmeno 48 ore sono arrivati 3.500 migranti. Qui a Pozzallo sono sbarcate 266 persone. Quei cadaveri giacevano invece sul fondo d’un gommone, recuperato l’altra notte 120 miglia a sud di Lampedusa; è stata una morte, un’agonia per la stanchezza, la sete, la fame, i fumi della benzina. I compagni di viaggio che sono stati salvati, hanno calcolato i soccorritori, avevano al massimo due ore di sopravvivenza: di più non avrebbero resistito, l’imbarcazione sarebbe sprofondata nel cimitero del Mediterraneo; il gommone non aveva motore, imbarcava acqua. S’ignora il destino di altri duecento o forse duecentocinquanta africani, per lo più somali, nigeriani e ghanesi: la guardia costiera libica li sta cercando, ma ormai lo sta facendo invano da troppo tempo. I duecento non verranno mai ritrovati, sono finiti sul fondo del mare. Secondo alcune stime, che in questi casi sono sempre al ribasso, nel 2014 i morti scomparsi sono duemila. La strage è diventata un’ecatombe. Ieri, in un’intervista al Corriere della Sera , il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha nuovamente chiesto all’Unione europea di farsi carico dell’emergenza. E non soltanto per lo sforzo tremendo anche a livello economico sostenuto dall’Italia con l’operazione Mare Nostrum (oltre nove milioni di euro al mese di spesa): dalla Libia arriveranno altre migliaia di immigrati e per forza verranno in Sicilia, o in Calabria. La Libia è fuori controllo, le spiagge sono distese di imbarcazioni in partenza. Ora, forse qualcosa potrebbe cambiare, almeno a livello delle intenzioni: dopo le parole del nostro ministro, il commissario Ue per gli Affari interni Cecilia Malmström ha annunciato che mercoledì vedrà proprio Alfano. Obiettivo dell’incontro sarà «definire meglio le priorità e fornire assistenza all’Italia» e alle altre nazioni del Mediterraneo che «si trovano a far fronte a una accresciuta pressione migratoria e di asilo». Ma certo bisogna prima fare i conti con l’eventuale aggiornamento di ingressi e caduti nei giorni che verranno. A Reggio Calabria, in queste stesse ore, è approdata una nave. A bordo erano in 1.373. Altri sbarchi sono annunciati sulla costa jonica della Calabria, dove lo Stato disloca i suoi uomini prelevandoli dai commissariati e dalle caserme dei paesi ad alta densità di ‘ndrangheta. Capita dunque che le macchine per i controlli degli arrestati ai domiciliari non vi siano: sono parcheggiate nei porti.
Problemi si aggiungono a problemi, anche se l’imperativo è tener duro e non protestare. Ufficiali in vacanza e in congedo stanno comunque lavorando, a distanza, sempre attaccati al telefono, e anticiperanno i rientri. La stessa cosa succede negli ospedali, dove medici e infermieri prolungano il servizio. Intenso è il lavoro della Protezione civile, per tacere della Marina. Quanto durerà? Quanto può durare? Più che una ricerca, è una caccia disperata. Uno dei comandanti delle navi che perlustrano le acque, Marco Bilardi, così ha raccontato gli sforzi e le delusioni, parlando a proposito dei dispersi: «Siamo rimasti in zona tutta la notte e abbiamo controllato la zona anche con gli aerei… Ma purtroppo non abbiamo trovato nulla».
Gli investigatori avrebbero poi anche il compito di individuare e bloccare gli scafisti. Spesso i traghettatori della morte si danno alla fuga prima, dopo essersi lasciati alle spalle traversate, mattanze e omicidi: su quella nave arrivata a Reggio Calabria, è stato trovato un cadavere. I migranti hanno detto che era uno di loro, un disperato come tanti, e che per motivi ignoti uno scafista s’è accanito a bastonate contro di lui e l’ha ucciso. Gli altri non si sono ribellati.
Andrea Galli
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