Gaza l’indomita, culla del nazionalismo

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Pri­vato della sua forza da Dalila che gli aveva tagliato i capelli, San­sone cadde nelle mani dei fili­stei – popolo dal quale nasce il nome «Pale­stina» –, che lo acce­ca­rono. Un giorno, lo fecero venire fra loro per deri­derlo: «San­sone cercò a tastoni i due pila­stri cen­trali che reg­ge­vano l’edificio. Si puntò con­tro di essi, con la destra e con la sini­stra, urlando: ‘Muoia San­sone con tutti i fili­stei!’ e poi spinse con tutta la sua forza. L’edificio crollò, tra­vol­gendo i capi dei fili­stei e tutti gli altri. Così, San­sone uccise più per­sone con la sua morte che in tutta la sua vita». Que­sto famoso epi­so­dio rife­rito dalla Bib­bia si svolge a Gaza, capi­tale dei fili­stei, popolo nemico degli ebrei.
Gaza è stata sem­pre un cro­ce­via nelle rotte com­mer­ciali fra Europa e Asia, fra Medio­riente e Africa. La città e il ter­ri­to­rio si sono dun­que tro­vati, fin dall’antichità, al cen­tro delle riva­lità fra le potenze dell’epoca, dall’Egitto dei faraoni all’Impero bizan­tino pas­sando per Roma. Là, nel 634 della nostra era, avvenne la prima vit­to­ria accer­tata sull’Impero bizan­tino da parte degli adepti di una reli­gione ancora sco­no­sciuta, l’islam; il pro­feta Mao­metto era morto due anni prima. Gaza rimase sotto il con­trollo musul­mano fino alla prima guerra mon­diale, con alcuni inter­ludi più o meno lun­ghi: regni cro­ciati; inva­sione mon­gola; spe­di­zione di Bona­parte. «Facile da pren­dere, facile da per­dere», spiega Jean-Pierre Filiu nel suo libro Histoire de Gaza (Fayard, Parigi, 2012), il più appro­fon­dito dedi­cato a que­sto ter­ri­to­rio. Il gene­rale bri­tan­nico Edmund Allenby strappò Gaza, porta della Pale­stina, all’Impero otto­mano il 9 novem­bre 1917, apren­dosi così la strada verso Geru­sa­lemme, dove entrò l’11 dicembre.
Per Lon­dra, non si trat­tava solo di bat­tere il sul­tano, alleato della Ger­ma­nia e dell’Impero austro-ungarico, ma di assi­cu­rarsi il con­trollo di un ter­ri­to­rio stra­te­gico e garan­tire la pro­te­zione del fianco est del canale di Suez, vena giu­gu­lare dell’impero, via di comu­ni­ca­zione vitale fra il vice­re­gno delle Indie e la metro­poli. I bri­tan­nici dun­que scon­fig­gono le ambi­zioni fran­cesi in Terra santa. Nel 1922, otten­gono il man­dato della Società delle Nazioni (Sdn) per ammi­ni­strare il ter­ri­to­rio che da allora viene chia­mato «Pale­stina», e al quale Gaza appar­tiene. Hanno anche il com­pito di appli­care la «dichia­ra­zione di Bal­four», cioè aiu­tare a creare una patria nazio­nale ebraica e inco­rag­giare l’immigrazione sio­ni­sta; lo fanno con zelo fino al 1939.
Gaza e la sua regione pren­dono parte a tutti i com­bat­ti­menti dei pale­sti­nesi, musul­mani e cri­stiani, con­tro la colo­niz­za­zione sio­ni­sta e con­tro la pre­senza bri­tan­nica. Con­tri­bui­scono alla grande rivolta pale­sti­nese del 1936–1939, schiac­ciata infine dai bri­tan­nici. Una scon­fitta che priva a lungo i pale­sti­nesi di una qual­si­vo­glia dire­zione poli­tica, lasciando ai governi arabi il com­pito – se così si può dire – di difen­dere la loro causa.
Il 15 mag­gio 1948, all’indomani della pro­cla­ma­zione dello Stato di Israele, gli eser­citi arabi entrano in Pale­stina. Prima guerra, prima disfatta araba. Il ter­ri­to­rio pre­vi­sto per lo Stato di Pale­stina dal piano di spar­ti­zione votato all’Assemblea gene­rale delle Nazioni unite, il 29 novem­bre 1947, va in fran­tumi. Israele annette una parte, la Gali­lea. La Gior­da­nia assorbe la riva occi­den­tale del Gior­dano, cono­sciuta come Cisgior­da­nia. La stri­scia di Gaza – un ter­ri­to­rio di 360 chi­lo­me­tri qua­drati che com­prende le città di Gaza, Khan You­nis e Rafah – passa sotto l’amministrazione mili­tare egi­ziana; resta l’unico ter­ri­to­rio pale­sti­nese sul quale non viene eser­ci­tata alcuna sovra­nità stra­niera. Agli ottan­ta­mila abi­tanti autoc­toni si sono aggiunti oltre due­cen­to­mila rifu­giati espulsi dall’esercito israe­liano, i quali vivono mise­ra­mente e sognano solo il ritorno a casa. Que­sta mas­sic­cia pre­senza di rifu­giati e lo sta­tus par­ti­co­lare del ter­ri­to­rio faranno di Gaza uno dei cen­tri del rina­sci­mento poli­tico palestinese.
Mal­grado il con­trollo da parte del Cairo – eser­ci­tato prima dal re, poi da Gamal Abdel Nas­ser e dagli «uffi­ciali liberi» che nel 1952 hanno rove­sciato la monar­chia –, i pale­sti­nesi si orga­niz­zano in modo auto­nomo, effet­tuano azioni di guer­ri­glia con­tro Israele, mani­fe­stano con­tro ogni ten­ta­tivo di inse­diare defi­ni­ti­va­mente a Gaza i rifu­giati. Già allora, Israele com­pie pesanti rap­pre­sa­glie, nelle quali si distin­gue per la sua bru­ta­lità un gio­vane uffi­ciale ancora sco­no­sciuto: Ariel Sha­ron.
Il 28 feb­braio 1955, Sha­ron comanda un raid con­tro Gaza che fa tren­ta­cin­que morti fra i sol­dati egi­ziani (oltre a ucci­dere due civili) e otto fra gli israe­liani. Il primo marzo, su tutto il ter­ri­to­rio si ten­gono grandi mani­fe­sta­zioni di pro­te­sta con­tro la pas­si­vità egi­ziana. Que­sto pro­duce una svolta nella poli­tica estera dell’uomo forte dell’Egitto, Nas­ser. Fino ad allora con­si­de­rato da molti suoi con­cit­ta­dini piut­to­sto vicino agli Stati uniti, egli decide, in piena guerra fredda, di avvi­ci­narsi a Mosca. Men­tre si reca alla con­fe­renza di Ban­dung che, nel marzo 1955, segna la nascita del Movi­mento dei non alli­neati, Nas­ser incon­tra il mini­stro degli esteri cinese Ciu en Lai, anch’egli in pro­cinto di recarsi alla con­fe­renza; gli chiede se i sovie­tici accet­te­reb­bero di dare armi al suo paese. La rispo­sta si fa atten­dere, ma infine il 30 set­tem­bre 1955 è annun­ciato l’accordo per la con­se­gna di arma­menti ceco­slo­vac­chi. Così, l’Urss spezza il mono­po­lio occi­den­tale della ven­dita di armi al Medio­riente, ed entra in modo ecla­tante sulla scena regionale.
Inol­tre Nas­ser lascia ai pale­sti­nesi di Gaza mag­giore libertà di orga­niz­zarsi in gruppi com­bat­tenti. Il 26 luglio 1956, il rais nazio­na­lizza la com­pa­gnia del canale di Suez. Ne segue l’aggressione tri­par­tita con­tro l’Egitto da parte di Israele, Fran­cia e Gran bre­ta­gna, che si con­clude con la con­qui­sta del Sinai e della stri­scia di Gaza. Que­sta rimane sotto il con­trollo israe­liano fino al marzo 1957.
La resi­stenza clan­de­stina si orga­nizza. Il bilan­cio umano dell’occupazione è par­ti­co­lar­mente pesante, con molti mas­sa­cri di civili com­piuti dall’«esercito più etico del mondo». Ad esem­pio, a Khan You­nis, decine di per­sone ven­gono alli­neate con­tro un muro e uccise a mitra­gliate; altre sono abbat­tute a colpi di pistola. Il bilan­cio è fra due­cen­to­set­tan­ta­cin­que e cin­que­cento per­sone uccise.
Quando Israele, soprat­tutto su pres­sione sta­tu­ni­tense, libera il Sinai e Gaza, Nas­ser e il nazio­na­li­smo arabo rivo­lu­zio­na­rio sono all’apice della popo­la­rità. Nei campi di rifu­giati, la nuova gene­ra­zione pale­sti­nese in esi­lio vi vede la rispo­sta alla scon­fitta del 1948–49. Milita in orga­niz­za­zioni come il Movi­mento dei nazio­na­li­sti arabi, creato da George Abbash, nel par­tito Baath o nei vari movi­menti nasseristi.Per que­sti gio­vani, l’unità araba è la strada per la libe­ra­zione della Palestina.
Dalla loro espe­rienza a Gaza, un gruppo di uomini trarrà invece la lezione oppo­sta. Essi hanno affron­tato diret­ta­mente Israele e misu­rato come il soste­gno arabo, anche da parte di Nas­ser, sia con­di­zio­nato – del resto, alcuni di loro cono­sce­ranno anche le pri­gioni egi­ziane. Per que­sti mili­tanti, la libe­ra­zione della Pale­stina può avve­nire solo a opera degli stessi pale­sti­nesi. Nel 1959 si radu­nano intorno a Yas­ser Ara­fat, egli stesso rifu­giato a Gaza nel 1948, per fon­dare Fatah, che è l’acronimo arabo, al con­tra­rio, di «Movi­mento nazio­nale pale­sti­nese». Fra i mili­tanti gazawi della prima ora, desti­nati a gio­care un ruolo cen­trale negli anni 1970–80, vi sono Salah Kha­laf (Abu Iyad), Kha­lil el Wasir (Abu Jihad), poi diven­tato il numero due di Fatah e assas­si­nato dagli israe­liani a Tunisi nel 1988, e Kamal Adwan, assas­si­nato da un com­mando israe­liano a Bei­rut nel 1973.
Il loro gior­nale Fali­sti­nouna («La nostra Pale­stina»), pub­bli­cato a Bei­rut negli anni fra il 1959 e il 1964, pro­clama: «Tutto quello che vi chie­diamo, è che voi [i regimi arabi] cir­con­diate la Pale­stina con una cin­tura difen­siva così da cir­co­scri­vere la guerra fra noi e i sio­ni­sti». E anche: «Tutto quello che vogliamo, è che voi [i regimi arabi] togliate le mani dalla Pale­stina». In quell’epoca, all’apice dell’influenza di Nas­ser, ci vuole un certo corag­gio per dichia­rare simili eresie.

Eppure, già alla metà degli anni 1960, con il fal­li­mento del ten­ta­tivo di unione fra Egitto e Siria (1958–1961), che rivela l’impotenza dei paesi arabi di fronte al corso degli eventi, il vento comin­cia a girare. La lotta di libe­ra­zione alge­rina, che si con­clude con la vit­to­ria nel 1962, funge da modello.

Nel gen­naio 1965, Fatah lan­cia le prime azioni mili­tari con­tro Israele e vede affluire mili­tanti da altre orga­niz­za­zioni, stan­che di aspet­tare un’unità araba sem­pre più impro­ba­bile. La scon­fitta del giu­gno 1967, con la guerra dei sei giorni, con­sente a Fatah di diven­tare una forza signi­fi­ca­tiva e di assu­mere, con l’avallo di Nas­ser, il con­trollo dell’Organizzazione per la libe­ra­zione della Pale­stina (Olp). Nel feb­braio 1969, Ara­fat diventa pre­si­dente del comi­tato ese­cu­tivo dell’Olp. I pale­sti­nesi sono tor­nati a essere un grande attore nella poli­tica regio­nale, e Gaza ha con­tri­buito note­vol­mente a que­sto rinnovamento.

Che cosa suc­cede al ter­ri­to­rio in que­sto periodo? Occu­pato da Israele, vede orga­niz­zarsi una resi­stenza mili­tare che rag­gruppa una quan­tità di orga­niz­za­zioni, salvo i Fra­telli musul­mani che si rifu­giano nell’azione sociale. Il primo attacco con­tro l’esercito di occu­pa­zione si veri­fica l’11 giu­gno 1967, ovvero all’indomani del ces­sate il fuoco fir­mato dall’Egitto e dai paesi arabi con Israele. Con alti e bassi, gli attac­chi con­ti­nuano fino al 1971. Per venirne a capo, occor­rerà la bru­ta­lità dei carri armati di Sha­ron e di innu­me­re­voli ese­cu­zioni extra­giu­di­ziali. Ma, se la resi­stenza mili­tare viene schiac­ciata, le ini­zia­tive poli­ti­che si mol­ti­pli­cano, e soprat­tutto i con­tatti con la Cisgior­da­nia, molto limi­tati prima del 1967. Le éli­tes si uni­scono all’Olp, che rico­no­scono come «unico rap­pre­sen­tante del popolo palestinese».

Gli unici a rifiu­tare sono i Fra­telli musul­mani. Essi si radi­cano pro­fon­da­mente gra­zie alle loro reti sociali e alla tol­le­ranza delle auto­rità di occu­pa­zione, che vedono in loro un con­trap­peso rispetto al nemico prin­ci­pale, l’Olp. Fon­data nel 1973 dallo sceicco Ahmed Yas­sin, la mujama’ isla­miya («cen­tro isla­mico») viene lega­liz­zata dall’occupante. Ma que­sto atten­di­smo – l’ora della resi­stenza non sarebbe ancora arri­vata – suscita pro­te­ste fra i Fra­telli; agli inizi degli anni 1980 una scis­sione porta alla nascita della Jihad islamica.

Nel dicem­bre 1987, è a Gaza che scop­pia la prima Inti­fada, la «rivolta delle pie­tre». Con due con­se­guenze impor­tanti. Da una parte, i Fra­telli impri­mono una svolta signi­fi­ca­tiva alla pro­pria stra­te­gia creando il Movi­mento della resi­stenza isla­mica (Hamas), che par­te­cipa all’Intifada ma rifiuta di for­mare un fronte unico con le altre orga­niz­za­zioni. D’altra parte, l’Olp uti­lizza la rivolta per raf­for­zare la pro­pria cre­di­bi­lità e nego­ziare gli accordi di Oslo, gui­dati da Ara­fat e dal primo mini­stro israe­liano Itz­hak Rabin il 13 set­tem­bre 1993 a Washing­ton. Il 1° luglio 1994, Ara­fat apre a Gaza la sede dell’Autorità nazio­nale pale­sti­nese.
Il seguito è noto: fal­li­mento degli accordi; svi­luppo della colo­niz­za­zione; seconda Inti­fada (a par­tire dal set­tem­bre 2000); vit­to­ria di Hamas alle prime ele­zioni demo­cra­ti­che tenu­tesi in Pale­stina nel 2006; rifiuto dei paesi occi­den­tali di rico­no­scere il nuovo governo, e alleanza fra una fazione di Fatah e Stati uniti per porvi fine; arrivo al potere di Hamas a Gaza nel 2007; blocco israe­liano impo­sto da allora a un milione e mezzo di abitanti.

La stri­scia di Gaza, mal­grado l’evacuazione dell’esercito israe­liano nel 2005 – senza alcun coor­di­na­mento con l’Autorità nazio­nale pale­sti­nese –, con­ti­nua a essere occu­pata. Tutti i suoi accessi dal mare, dalla terra e dal cielo con­ti­nuano a dipen­dere da Israele, che vieta ai pale­sti­nesi impor­tanti por­zioni del ter­ri­to­rio (il 30% delle terre agri­cole) e il mare al di là delle sei miglia nau­ti­che (ridotte a tre a par­tire dall’inizio dell’operazione mili­tare in luglio). Gli israe­liani con­ti­nuano a gestire lo stato civile. Il blocco che man­ten­gono dal 2007 sof­foca la popo­la­zione, mal­grado le con­danne una­nimi – uni­ca­mente ver­bali, è vero – da parte della «comu­nità inter­na­zio­nale», com­presi gli Stati uniti.

Dopo il suo ritiro, Israele ha con­dotto tre ope­ra­zioni di grande por­tata con­tro i ter­ri­tori: nel dicem­bre 2008-gennaio 2009; nel novem­bre 2012; infine nel luglio 2014. Fin­ché il blocco non sarà tolto, fin­ché i pale­sti­nesi non avranno uno Stato indi­pen­dente, ogni nuovo ces­sate il fuoco sarà solo una tre­gua. Il gene­rale de Gaulle lo aveva pre­detto, in una cele­bre con­fe­renza stampa tenuta il 27 novem­bre 1967 dopo la guerra arabo-israeliana: «Non ci può essere occu­pa­zione senza oppres­sione, repres­sione, espul­sioni»; le quali pro­vo­cano «la resi­stenza [che Israele]chiama ter­ro­ri­smo».
(Tra­du­zione di Mari­nella Cor­reg­gia)
© Le Monde diplomatique/ilmanifesto



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