Così Francesco perdona il sacerdote sandinista

Così Francesco perdona il sacerdote sandinista

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NON è la pace del Vaticano con la teologia della liberazione. Ma la revoca della sospensione “a divinis” a padre Miguel d’Escoto Brockmann, 81 anni, ex ministro degli esteri sandinista, voluta ieri da Papa Francesco è l’ennesimo segno d’apertura e perdono verso quei sacerdoti che negli anni Ottanta scelsero in America Latina l’impegno politico. Con i fratelli, Ernesto e Fernando Cardenal, Miguel d’Escoto fu uno di quei sacerdoti che con la rivoluzione sandinista del 1979 andarono al potere e subirono, in piena era wojtyliana, la dura sanzione di essere allontanati da una Chiesa molto preoccupata dall’infiltrazione marxista della Teologia della liberazione che a quei tempi faceva proseliti nei Paesi sudamericani.
Ora padre d’Escoto, che da qualche anno ha abbandonato l’impegno politico attivo, ha scritto al Papa chiedendogli di poter celebrare di nuovo l’eucarestia «prima di morire» e Francesco glielo ha concesso. «Solo un gesto umanitario», ci tengono a sottolineare in Vaticano, aggiungendo in una nota ufficiale che: «I contesti e le epoche sono diverse e che non si tratta di una questione dottrinale ma disciplinare. Quindi di un gesto di misericordia verso un sacerdote che lo aveva esplicitamente chiesto. Interpretare nel senso di discontinuità e rottura fra due pontificati rappresenta una forzatura storica».
L’episodio più controverso di quegli anni avvenne all’aeroporto di Managua nel marzo del 1983 quando Papa Wojtyla alzò il suo indice ammonitore contro padre Ernesto Cardenal, inginocchiato davanti a lui, perché nonostante fosse un sacerdote aveva accettato l’incarico di ministro della Cultura nel primo governo di Daniel Ortega. Una immagine che fece il giro del mondo e fu un colpo durissimo per decine di preti che avevano abbracciato la causa dell’azione concreta per i più poveri lanciata dal teologo peruviano Gustavo Gutiérrez (ricevuto recentemente da Papa Francesco) e da Leonardo Boff. Quel giorno d’Escoto non c’era ma insieme a Ernesto Cardenal più tardi venne sospeso “a divinis” dal Vaticano.
Nicaraguense ma nato a Los Angeles nel 1933 d’Escoto, dopo gli studi di ingegneria a Berkeley, entrò in seminario e divenne sacerdote nel 1961. Nel 1975 si unì al movimento sandinista che combatteva in Nicaragua contro la dittatura di Anastasio Somoza. Con la vittoria della guerriglia, nel 1979, entrò nel governo e fece il ministro degli Esteri fino al 1990. Nei mesi di massima tensione, quando Reagan guidava la controrivoluzione dei contras in Nicaragua e Papa Wojtyla combatteva la teologia della liberazione, ad eliminarlo ci provò la Cia. Per Natale gli regalarono una bottiglia di “Bénédectine”, pregiato e noto liquore d’erbe dei frati francesi, avvelenata. Non funzionò e la rivelazione del complotto provocò l’ennesima crisi diplomatica fra l’America che, fra Salvador e Nicaragua, interveniva nel “cortile di casa” centroamericano e l’esecutivo rivoluzionario allora appoggiato da Cuba e dall’Urss.
Prima e dopo il suo impegno al ministero degli Esteri d’Escoto si è impegnato nei processi di pacificazione della regione centroamericana. Alle Nazioni Unite, dove venne nominato presidente dell’Assemblea generale nel 2008, lo soprannominarono il “Mandela sudamericano”. Esperto di politica estera, gran viaggiatore, d’Escoto al contrario di altri sandinisti della prima ora è rimasto fedele al movimento anche dopo il ritorno, molto più controverso, di Daniel Ortega al potere, conservando fino a qualche tempo fa un incarico di consigliere. Sulla sospensione “a divinis” e gli anni dello scontro più violento con l’imperialismo nordamericano e con Papa Wojtyla valgono le parole di Ernesto Cardenal quando a proposito scrisse che a suo giudizio il Papa si sbagliò. Non capì che la «nostra» rivoluzione non era contro un regime anticristiano come in Polonia, ma «era appoggiata massicciamente dai cristiani, in un paese cristiano, e dunque era una rivoluzione molto popolare»



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