Mazuria, la prigione polacca della Cia

Mazuria, la prigione polacca della Cia

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C’è una cosa che più di tutte col­pi­sce il visi­ta­tore: la natura pos­sente, rigo­gliosa e sel­vag­gia. Gli abi­tanti della regione hanno coniato uno slo­gan: «Mazury cud natury», Mazu­ria mira­colo della natura. Fore­ste, laghi e ancora laghi, grandi e gran­dis­simi che si sus­se­guono, si toc­cano, con­tor­nati dal verde lus­su­reg­giante che non smette di stu­pire chi gli sta di fronte. Poi d’improvviso, men­tre la mac­china per­corre la strada che costeg­gia il lago vicino al vil­lag­gio di Stary Kie­j­kuty, spunta una dop­pia recin­zione con filo spi­nato. Tele­ca­mere ovun­que e se provi a par­cheg­giare, scen­dere e scat­tare foto, dopo appena qual­che minuto arriva la sicu­rezza che ti seque­stra la memory card: «zona mili­tare, off limits, niente foto e video». Ben­ve­nuti al cen­tro d’addestramento dei ser­vizi segreti mili­tari polac­chi (Osro­dek Szko­le­nia Agen­cij Wiwiadu), il posto più segreto e inac­ces­si­bile della Polo­nia. È qui che gli agenti della Cia por­ta­vano i ter­ro­ri­sti (o pre­sunti tali) e qui veni­vano tor­tu­rati. Il clas­sico posto tran­quillo ad appena 20 km dall’aeroporto si Szczytno-Szymany, e soprat­tutto fuori dalla por­tata di sguardi indi­screti dove poter attuare il pro­gramma di «extraor­di­nary ren­di­tion» (con­se­gne straor­di­na­rie), ovvero la deten­zione clan­de­stina di un «ele­mento ostile» sospet­tato di essere un ter­ro­ri­sta.
Erano i tempi della guerra al ter­rore e la Polo­nia aveva deciso di entrarci den­tro aiu­tando l’alleato ame­ri­cano a fare il lavoro sporco. Alcuni abi­tanti di Stary Kie­j­kuty ricor­dano bene il rumore degli aerei di notte. Troppi per un pic­colo aero­porto come quello. I poli­tici polac­chi fanno orec­chio da mer­cante: «Pri­gioni segrete? Io non c’ero, e se c’ero dor­mivo». È que­sto il succo delle loro dichia­ra­zioni a pro­po­sito. Leszek Mil­ler, 68 anni, segre­ta­rio del par­tito socia­li­sta polacco (Sld), all’epoca primo mini­stro. Pur ammet­tendo la pre­senza di agenti ame­ri­cani a Stary Kie­j­kuty, lui ha sem­pre negato l’esistenza di pri­gioni segrete della Cia in Polo­nia. Diversa la rico­stru­zione di Ale­xan­der Kwa­sniew­ski, ex pre­si­dente della repub­blica ed ex com­pa­gno di par­tito di Mil­ler, il quale nel 2012 ha rive­lato che «quel tipo di sito era stato appro­vato», ovvia­mente a sua insa­puta. Oggi Kwa­sniew­ski aggiunge che «il governo polacco, le auto­rità polac­che, gui­date allora da Leszek Mil­ler, io, come pre­si­dente e tutte le mag­giori isti­tu­zioni dello stato, hanno agito in buona fede con l’alleato ame­ri­cano e in accordo per la difesa degli inte­ressi nazio­nali». Detto in parole povere, a Washing­ton non si poteva dire di no. Del resto, la Polo­nia è sem­pre stata un nodo stra­te­gico di pri­ma­ria impor­tanza per la poli­tica estera a stelle e stri­sce. Lo era ai tempi di Rea­gan, che finan­ziava a suon di dol­lari la lotta di Soli­dar­nosc con­tro il regime del socia­li­smo reale. Lo era ai tempi di Bush padre che dopo l’89 mandò i pro­pri con­si­glieri eco­no­mici a Var­sa­via per costruire il Paese su basi neo-liberiste. Lo era per Bush figlio che in Polo­nia voleva istal­lare i radar per lo scudo spa­ziale. Lo è oggi per Obama e il suo pro­getto di ridi­spie­ga­mento delle truppe Nato sullo scac­chiere euro­peo. Un’alleanza forte, dun­que, che pre­serva gli inte­ressi stra­te­gici ame­ri­cani garan­tendo cospi­cue risorse ai polac­chi in campo eco­no­mico e mili­tare. È in que­sta ottica che va inse­rita la que­stione delle pri­gioni segrete: «È l’economia bellezza».



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