Bombe sulla scuola e sul mercato Onu e Usa protestano con Israele
GAZA. L’ODORE di Gaza è quello dolciastro del sangue umano mescolato a quello animale, del fetore che sale dall’immondizia cotta dal sole abbandonata nelle strade, delle fognature esplose che formano pantani maleodoranti e fetidi. È l’odore della morte.
ALEGGIA nelle strade, nei vicoli, nei mercati e nelle scuole dell’Unrwa, dove forse sarebbe meglio alzare la bandiera bianca invece di quella blu dell’Onu. Questa guerra non risparmia niente e nessuno, tutti sono ormai sono solo un bersaglio anche durante la “tregua umanitaria”. Due stragi di civili innocenti con quaranta morti sono il tragico segnale di una guerra che nessuno sembra in grado di poter fermare.
A Gaza City, dopo una notte di bombardamenti, all’alba l’ululato lacerava le strade di una città fantasma mentre il rumore cupo delle esplosioni andava avanti a ritmo continuo nei quartieri e nei rioni a nord, Shajaya, Jabalya, Rimal. Tutte le ambulanze ancora disponibili correvano verso la scuola elementare femminile di Jabalya dell’Unrwa, dove un’umanità di 3.300 persone aveva cercato scampo dall’avanzare dei combattimenti, ammassati nelle aule e nel cortile. Il piccolo istituto, che normalmente accoglie 600 alunne, è stato il teatro dell’ennesimo massacro. Sei colpi di cannone si sono schiantati all’esterno devastando un’area di cinquecento metri quadrati, polverizzando tricicli, carretti, automobili. Gli asini e i cavalli che avevano trainato sui carretti questa gente in fuga perenne, sversavano il loro sangue in mezzo alla strada. Il settimo colpo ha centrato una delle aule dove dormiva un gruppo di donne e bambini, portandosi via 23 vite innocenti, ottanta i feriti caricati su con ogni mezzo verso l’Al Shifa, l’ospedale dove medici e chirurghi lavorano su turni di 24 ore con mezzi e risorse ogni giorno più flebili, quattromila feriti sono già passati di qui.
«Cercavamo di dormire, di coccolare i bambini», racconta ancora sotto shock Kulud Al Atthama, una giovane mamma di sei figli che non riesce a fermare il tremore delle mani. «Le esplosioni sembravano lontane, poi di colpo a breve distanza ne sono cadute cinque o sei proprio dietro il muro della scuola, i bambini hanno cominciato a urlare a
piangere, l’ultimo colpo è caduto dentro e ha fatto tremare tutto. Siamo usciti dalla nostra aula di corsa per trovarci di fronte questo carnaio: i ragazzini in preda a crisi isteriche, le urla disumane dei feriti, gli uomini ci tenevano lontane e spostavano le macerie con le mani». «Noi», racconta ancora Kulud, «siamo qui da una settimana con mio marito e i nostri figli, prima stavamo in un’altra scuola dell’Onu a Beit Hanoun, ma anche quella era diventata un bersaglio ed è stata sgomberata, così ci siamo spostati qui, più verso il centro, sembrava un posto sicuro».
Da New York, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon esprime la sua ira: «Nulla di più vergognoso che attaccare dei bambini mentre dormono». La Casa Bianca condanna «il bombardamento di una scuola che ha ucciso innocenti». Il direttore dell’Unrwa Pierre Krahenbuhl è chiaro nella sua denuncia: «È stata l’artiglieria israeliana a colpire la nostra scuola, dove 3.300 persone avevano trovato rifugio. Tutte queste persone avevano seguito l’avviso dell’esercito israeliano di lasciare le proprie case per mettersi in salvo ed erano sotto la nostra protezione». «Le coordinate precise della Scuola Elementare per bambine di Jabalya, insieme al fatto che stesse ospitando migliaia di sfollati », dice ancora Krahenbul, «erano stati comunicate agli israeliane in 17 diverse occasioni, proprio per assicurarne la protezione. L’ultima comunicazione è stata fornita alle 20.50 la scorsa notte, poche ore prima del bombardamento fatale».
L’Agenzia dell’Onu vuole anche replicare alle accuse di Israele secondo le quali le sue scuole diventano basi di lancio per i missili sparati da Hamas. «Bisogna mettere in chiaro che non sono mai stati trovati razzi nelle 90 scuole che ospitano 220 mila civili palestinesi, quindi non ci sono scuse per attaccarle».
Se la giornata di Gaza si è aperta con un massacro, la giornata è proseguita con uno stillicidio di morti a Tuffah, a Khan Younis, e di nuovo a Gaza City con la strage al mercato ortofrutticolo. Nel primo pomeriggio dopo l’annuncio di una “tregua umanitaria”, la gente è uscita di casa. Ha iniziato a fare file interminabili davanti ai forni che hanno panificato in fretta, prima della scadenza fissata per le sette locali, di corsa al mercato ortofrutticolo del vecchio quartiere ottomano per fare qualche provvista che si è affollato di colpo. Un raid aereo ha messo fine alle loro speranze scaricando quattro bombe che sono esplose sulla folla che si accalcava attorno ai banchi seminando la morte. Sedici persone — donne, bambini, venditori e passanti — sono morte subito, centocinquanta quelle ferite. Le scene che si sono trovati davanti i soccorritori e i reporter accorsi sul posto erano insopportabili. Un fumo nero gravava come una cappa, fiamme, i feriti evacuati su barelle di fortuna verso un paio di ambulanze, su auto sgangherate, furgoni, carretti, e tuk-tuk. Altri giacevano ancora in strada, incoscienti, mentre da orrende mutilazioni il sangue usciva a fiotti sul pavimento putrido mescolandosi a quello dei polli in vendita. Coperte e stracci stesi sui corpi senza vita. Tra le persone a terra inanimate, un collega fotografo — Rami Rayan — a cui giubbotto antiproiettile e casco non hanno offerto nessuna protezione da quel diluvio di schegge. Trentasette i morti ieri, soltanto durante la “tregua umanitaria”, 70 durante la giornata. Le vittime di questa quarta guerra di Gaza sono ormai quasi 1400, e oggi dopo i bombardamenti iniziati ieri sera in tutta la zona della Striscia saranno ancora di più. Perché il premier Benjamin Netanyahu e i suoi generali sono ancora convinti di poter ottenere una vittoria militare su Hamas che continua a sparare i suoi missili e bloccare l’avanzata dei soldati dentro la Striscia, mentre i 56 militari israeliani caduti finora fanno fare un’altra riflessione al presidente emerito Shimon Peres: «Israele ha esaurito l’opzione militare, la soluzione alla crisi di Gaza deve essere diplomatica».
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