Non solo Gaza: il mondo in guerra Ecco dove si continua a combattere
Europa
Ucraina
Andare verso l’Unione Europea o tornare verso la Russia? A partire da questa domanda si è sviluppata la recente crisi ucraina. Da una parte i filoeuropei, concentrati soprattutto nella capitale Kiev e nell’Ovest. Dall’altra i filorussi, più forti nelle regioni di confine e a Sud, territori in cui la prima lingua è il russo.
Il 22 febbraio, dopo mesi di tensioni, la piazza riesce a spodestare il corrotto presidente Viktor Yanukovych, amico del Cremlino. Del caos approfittano i filorussi della penisola di Crimea, che con il sostegno di Mosca decretano la secessione e, tramite un referendum improvvisato, l’annessione alla Russia. Dalle presidenziali ucraine del 25 maggio esce vincitore Petro Poroshenko, industriale del cioccolato, che accelera l’avvicinamento all’Ue. Nell’Est, nel frattempo, si è andato militarizzando sempre più il confronto tra Kiev e i filorussi, che ha provocato più di un migliaio di morti: a nulla sono serviti, anche qui, gli inviti al cessate-il-fuoco, con il presidente russo Vladimir Putin criticato per il sostegno fornito, politicamente e forse anche militarmente, ai secessionisti. È questo lo scenario in cui, il 17 luglio, è stato abbattuto, nei cieli dell’Ucraina dell’Est, il volo MH17 della Malaysia Airlines, un aereo civile in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur: 298 vittime, uccise probabilmente da un missile sparato dai separatisti.
Daghestan
Rimane alta la tensione nel Daghestan e nelle altre repubbliche caucasiche della federazione russa dove la polizia continua a dare la caccia ai terroristi islamici, in un’area che è stata teatro di una guerra decennale, soprattutto in Cecenia e che continua ad esportare jihadisti, dalla Siria all’Iraq. Nel 2013, sono stati 399 gli atti terroristici compiuti nel Nord Caucaso, 242 dei quali in Daghestan (in tutto 200 i miliziani uccisi, contro 100 poliziotti).
Medio Oriente
Gaza
Stavolta la scintilla è stata, a metà giugno, il rapimento e l’uccisione di tre studenti israeliani, da parte probabilmente di una tribù vicina al movimento palestinese Hamas. Uno choc per Israele. Così, mentre alcuni settori della destra andavano radicalizzandosi ancora di più (pochi giorni dopo dei nazionalisti hanno bruciato vivo un 16enne palestinese), e mentre Hamas continuava a lanciare razzi verso il Nord, il primo ministro Benjamin Netanyahu l’8 luglio decideva di dare il via a “Margine protettivo”, l’ultima dizione di una guerra che va avanti dal 1948.
Questa operazione, come la precedente “Colonna di nuvola” del novembre 2012, ha come obiettivo la distruzione dei lanciarazzi di Hamas nel nord nella Striscia di Gaza. Oltre che dei numerosi tunnel costruiti per far penetrare commando in territorio isreaeliano. L’operazione è cominciata dal cielo e poi, dal 17 luglio, è proseguita con l’invasione terrestre. Il conflitto, il più sanguinoso dalla guerra del 2008-2009, ha fatto già più di 600 vittime tra i palestinesi (per la gran parte civili) e una trentina tra gli israeliani, anche perché i missili sparati da Hamas sono perlopiù intercettati dallo scudo “Cupola di ferro”. La conclusione della guerra è resa più difficile sia dalla indisponibilità del governo di Netanyahu ad ascoltare gli appelli alla tregua che provengono dalla comunità internazionale sia dall’assenza di un mediatore, vista la debolezza di Stati Uniti ed Ue e l’ostilità del nuovo presidente egiziano Abdel Fattah El Sisi nei confronti di Hamas.
Siria
L’incendio siriano ha cominciato a bruciare nel marzo del 2011, quando davanti all’intensificarsi delle proteste di piazza, che chiedono più libertà e più democrazia, le forze del dittatore Bashar al Assad aprono il fuoco nella città di Daraa. Sono i primi passi di una guerra civile che vedrà da un lato le opposizioni combattere attraverso il Free Syrian Army e riunirsi in un variegato Consiglio Nazionale, sostenuto sempre più dall’Occidente, dalla Turchia e dai Paesi del Golfo; e dall’altro il regime di Assad rendersi responsabile di stragi, forte anche dell’alleanza con l’Iran e del veto di Russia e Cina verso le risoluzioni Onu. Nello stallo generale, con massacri di innocenti compiuti da una parte e dall’altra, nel fallimento della mediazione della Lega Araba, un terzo attore si è fatto sempre più strada nell’ultimo anno: i jihadisti internazionali, che si sono raccolti sotto la bandiera nera di un movimento, lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Isis), così crudele da inimicarsi i vertici di al Qaeda e gli ex alleati fondamentalisti siriani di Al Nusra. Oggi la Siria, che ha visto morire dal 2011 più di 250 mila persone, è contesa da queste tre forze in guerra tra di loro.
Iraq
Tutto è tornato come ai tempi della caduta del dittatore Saddam Hussein, giustiziato nel 2006. L’Iraq è ripiombato nel caos. Il Paese non ha saputo riconciliare le sue due principali anime musulmane, gli sciiti e i sunniti. I primi, maggioranza, sostenuti dall’Iran, hanno escluso dal potere i secondi, colpevoli di averli per primi discriminati quando erano al governo con Saddam. Così gli antichi odi sono tornati in superficie, e i sunniti hanno deciso ora di non ostacolare la cavalcata vittoriosa dei jihadisti dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, che hanno conquistato Tikrit, città natale di Saddam, e Mosul, la seconda città del Paese, dopo aver messo le mani anche su Ninive, Falluja e Ramadi. Intanto, con le forze occidentali che hanno già abbandonato il Paese, i cristiani vengono cacciati da Mosul, e gli attentati sono all’ordine del giorno. Una buona notizia però c’è: Usa e Iran stanno collaborando per fermare la minaccia jihadista nel Paese.
Africa
Repubblica Centrafricana
La guerra civile è scoppiata nel dicembre del 2012, dopo che la coalizione ribelle Seleka, perlopiù musulmana, ha accusato il governo del presidente François Bozizé di non aver rispettato gli accordi di pace, e lo ha costretto poi alla fuga nel marzo del 2013. Michel Djotodia, leader di Seleka, ha preso il suo posto in questo Paese a maggioranza cristiana, ma a gennaio si è dimesso, e ora una donna, Catherine Samba-Panza, è capo di Stato ad interim. Le violenze continuano, nonostante la presenza di 6 mila peacekeeper dell’Unione Africana e 2 mila soldati francesi. Più di 2 mila i morti, oltre la metà dei quali solo quest’anno, causati anche dalle milizie cristiane e animiste dette “anti-balaka”. Un milione di persone ha abbandonato le proprie case.
Sud Sudan
La conquista dell’indipendenza dal Sudan e dal regime militare di Omar al Bashir, nel luglio del 2011, non ha portato la pace in questa giovane repubblica, dilaniata dallo scontro tra il governo di Salva Kiir, sostenuto anche dall’Uganda, e i ribelli di Riek Machar, suo ex vicepresidente. Il conflitto ha fatto da dicembre un milioni di profughi e più di 10 mila morti.
Nigeria
Nel 2014 ha ucciso nel Paese almeno 2.053 persone. È il gruppo terrorista islamico Boko Haram (il cui nome significa “L’istruzione occidentale è peccato”), che dal 2009 ha intensificato i suoi attacchi, che avvengono perlopiù nello Stato del Borno, nel Nord Est, come il famoso rapimento di oltre 200 ragazze a Chibok, ad aprile, un atto clamoroso che ha ispirato la campagna internazionale #BringBackOurGirls. Boko Haram è però solo l’ultima delle espressioni di un conflitto che insanguina la Nigeria dal 1999 (con più di 10 mila morti finora) e che vede contrapposto il Sud cristiano e il Nord musulmano, dove in molte aree viene applicata la sharia.
Repubblica Democratica del Congo
Dopo i 5,5 milioni di morti nei conflitti che si sono succeduti dal 1996 in poi, dopo la recente vittoria sui ribelli del Movimento M23, ora sono i miliziani ugandesi dell’Adf-Nalu a portare la guerra nella Repubblica Democratica del Congo. Attirati dalle ricchezze minerarie, si sono stabiliti nell’Est del Paese, e qui reclutano bambini-soldato, abusano delle donne e attaccano la missione Onu Monusco. Nella stessa area devono ancora essere disarmati i miliziani hutu dell’Fdlr, reduci della guerra in Rwanda.
Africa del Nord
Libia
Da una parte le milizie vicine agli islamisti, dall’altra quelle vicine ai laici. Un complesso panorama in cui si è inserito, negli ultimi mesi, anche il tentato colpo di Stato di Khalifa Haftar, generale in pensione che fa leva sui nostalgici dell’era di Muammar Gheddafi, il dittatore ucciso nell’ottobre del 2011 al culmine della guerra civile e dell’intervento Nato. Da allora la Libia è andata più volte al voto, ma è ripiombata nel caos: il premier Abdullah Al-Thinni è dimissionario da aprile, e le milizie si sfidano per il controllo del petrolio, di cui è ricco soprattutto l’Est, la Cirenaica. Sarebbero circa 1500 i morti nel post-Gheddafi.
Somalia e Kenya
Nonostante i recenti successi dell’esercito governativo, il gruppo islamista di al Shabab, vicino ad al Qaeda, rimane una minaccia sia per la Somalia, dove dal 2006 approfitta della debolezza delle istituzioni e della complessità del sistema tribale per seminare il terrore, sia per il Kenya, dove, dopo i 68 morti allo shopping center di Nairobi a settembre, continua a uccidere, come rappresaglia per l’intervento keniano in difesa del governo somalo, sostenuto dall’Onu. Dal ‘91 le guerre civili hanno fatto in Somalia più di 500 mila morti..
Algeria e Mali
Nel deserto tra Algeria e Mali si annida l’Aqim, al Qaeda nel Maghreb Islamico, una formazione creata nel ‘98 da reduci della guerra civile algerina che punta a creare uno Stato islamico tra Maghreb, Libia, Mauritania e Mali. Nel Nord del Mali, nel 2012, gruppi islamisti vicini ad Aqim hanno inizialmente fatto fronte comune con il Mnla, movimento indipendentista tuareg, in un conflitto che ora vede il governo maliano restaurare l’ordine grazie all’intervento delle truppe francesi.
Sahara Occidentale
Mantiene alta la tensione tra Algeria e Marocco, il dossier del Sahara Occidentale, una terra occupata nel 1975 da Rabat ma rivendicata dagli indipendentisti del Fronte Polisario, sostenuti da Algeri.
Messico e Colombia
Messico
Più di 150 mila morti dal 2006 a oggi. È il bilancio della guerra tra il governo messicano e i cartelli della droga, favorita dalla corruzione della polizia locale e caratterizzata dall’estrema crudeltà dei narcos. Gli Stati settentrionali di Chihuahua e di Baja California, al confine con il Texas e con la California, sono tra i più colpiti.
Colombia
Nel novembre del 2012 sono iniziati i negoziati di pace tra il governo colombiano e i rivoluzionari delle Farc, per porre fine a un conflitto che va avanti dal 1964 e ha fatto oltre 200 mila vittime.
Asia
India
L’uccisione di una guardia di frontiera indiana e il ferimento di altre sette da parte dell’esercito pachistano, il 16 luglio, ha rischiato di riaprire le antiche ferite del Kashmir, territorio conteso da sei decenni dai due Paesi, le cui relazioni, nonostante gli sforzi della diplomazia, rimangono tese anche a causa dell’attacco terroristico compiuto nel 2008 a Mumbai da un gruppo terroristico pakistano, Lashkar-e-Taiba.
Afghanistan e Pakistan
Nei primi sei mesi dell’anno è cresciuto di un quarto rispetto al 2013, fino a 5 mila, il numero di civili morti o feriti a causa del conflitto tra il governo sostenuto dagli americani e degli occidentali (inquadrati nella missione Isaf), e dall’altra i talebani e i loro alleati.
Al confine con il Pakistan, in Waziristan, Al Qaeda mantiene le sue basi, mentre a fine 2014 la missione Isaf concluderà il suo lavoro in Afghanistan. Con il ballottaggio presidenziale del 14 giugno, vinto da Ashraf Ghani, si è chiusa l’era di Hamid Karzai. Lo sconfitto, Abdullah Abdullah, ha denunciato brogli.
Related Articles
Walmart no tax: così la più grande società del mondo ha beffato il Fisco Usa
Una rete di società offshore per aggirare le imposte americane. Al centro del sistema c’è il Lussemburgo. Il colosso della grande distribuzione ha pagato l’uno per cento di imposte su profitti per 1,3 miliardi di dollari
Subito raid contro il Pkk
Kurdistan. L’aviazione turca bombarda a un anno dalla strage di Suruc. Il 20 luglio 2015 un kamikaze dell’Isis uccise 33 giovani turchi: quel massacro inaugurò la campagna anti-kurda
I battesimi con gli agenti in chiesa Vita sotto scorta di don Ciotti
Don Luigi Ciotti. Il prete che combatte la mafia è l’uomo più a rischio d’Italia. «Ma non mi fermo»