Sindacato, l’importanza della formazione
L’instabilità del sistema economico e l’evoluzione del sistema produttivo recente sollevano una questione inedita: come e chi rappresenta il lavoro occupato e inoccupato. L’attenzione delle strutture sindacali (recente) verso la formazione dei lavoratori occupati e dei giovani inoccupati dà conto di un cambiamento delle policy sindacali.
Il sindacato accompagna i propri iscritti, come i non iscritti (lavoratori non occupati) verso un processo d’apprendimento che dovrebbe garantire (individualmente) occupati e inoccupati. L’offerta di lavoro non è solo un problema di salario, tempo e contrattazione. L’offerta di lavoro, l’utilizzo della propria forza lavoro da parte di terzi, diventa offerta di lavoro qualificata e autoqualificante se opportunamente sostenuta.
Tanto più l’individuo è formato, tanto più farà valere il proprio sapere. Se la domanda di lavoro è determinata dal mercato, il sindacato rafforza e promuove il sapere del soggetto debole del mercato, garantendolo dalle incursioni delle imprese. Questo è il principale lascito delle istituzioni sindacali (neoclassiche).
La differenza dagli anni ‘60 e ’70 è paradigmatica. Il sindacato era un’istituzione capace di tenere in tensione la domanda effettiva agendo sul senso e l’orizzonte della società. In-consapevolmente curava il lavoro senza dimenticarsi del capitale. Quando il capitale non comprendeva le ragioni della domanda effettiva, il sindacato modificava il regime d’accumulazione.
La rivendicazione della giornata lavorativa di 8 ore è stata un insieme di programma politico, sociale ed economico. Quella rivendicazione è stata l’istituzione capace di rimettere in tensione la domanda, prefigurando delle norme capaci di rigenerare il lavoro, il capitale e lo stato sociale. Con le 8 ore il sindacato redistribuiva tempo, garantiva un certo tasso di occupazione e una domanda di consumo coerente con la nuova produzione, oltre a qualificare lo sviluppo come tempo produttivo e tempo ri-produttivo.
Non dobbiamo dimenticare che l’impresa, per definizione, tenta di allargare la forbice tra ricavi e costi, ma quello che vale per la singola impresa non vale per l’economia. Se tutte le imprese riducessero il costo del lavoro non ci sarebbe accumulazione. Alla fine il sindacato si era dimostrato più maturo dell’impresa perché in-volontariamente alimentava la dinamica di struttura (sviluppo).
L’uscita da questa crisi passa da una nuova capacità macroeconomica del sindacato, aggiornando il lascito della rivoluzione neoclassica della formazione, senza trascurare le fondamenta macroeconomiche della microeconomia (Paolo Leon). Una sfida inedita che dovrebbe trovare una risposta coerente nel sindacato confederale, soprattutto se consideriamo che l’attenzione del sindacato verso gli inoccupati ha indebolito il sindacato, cioè la capacità di promuovere i necessari cambiamenti sociali ed economici che guidano lo sviluppo.
Il diritto concorre al governo della dinamica di struttura: è il requisito indispensabile per far camminare correttamente il piano di protezione sociale. Norberto Bobbio sosteneva che il diritto è proporzionale alla consapevolezza dei cittadini. Il diritto del lavoro si è sviluppato tanto più si percepiva il mercato come inadeguato per regolare i fenomeni sociali. La liberalizzazione del mercato ha modificato il rapporto tra Stato, lavoro e profitto; nei paesi a capitalismo avanzato sono diminuiti i diritti del lavoro dipendente, mentre nei paesi emergenti si registra un miglioramento.
Le nuove istituzioni del capitale devono riannodare il tema del diritto e della domanda effettiva. Una sfida inedita e fondamentale per il lavoro e la sua rappresentanza. Diversamente il diritto negativo, quello delle libertà individuali, prenderebbe il sopravvento. Per questo la rappresentanza sindacale deve concorrere al disegno delle nuove istituzioni del capitale.
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