Barricate e minacce Castel Volturno sull’orlo della guerra razziale

Barricate e minacce Castel Volturno sull’orlo della guerra razziale

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CASTEL VOLTURNO . Il sangue è ancora a terra, in via Lista. È il punto in cui la polveriera dei dimenticati, la Pescopagano dei nigeriani ghanesi senegalesi mischiati e nascosti tra i cittadini italiani, ha visto precipitare la pigra serata da finalissima Mondiale nella cupa fiammeggiante sommossa alla “Rodney King” casertana. E ora la striscia di Gaza di questa frazione di Castel Volturno toccata dal mare, a metà tra due comuni e nessuno Stato a curarsene, è divisa anche in due blocchi di protesta, che per la prima volta alzano le mani solo per ufficializzare l’odio, e in fondo la fatica e l’incapacità di andare avanti così. Da soli, con le loro leggi che non danno certezze e il loro dio che non risponde.
Il blocco Uno è dei bianchi, sulla Domitiana, sono loro a cominciare a mezzogiorno. Prima pochi uomini e ragazzi, poi le famiglie, poi perfino le signore dagli stabilimenti balneari più lontani ma accarezzati e sporcati dallo stesso mare. «Ma voi dite sempre che siete impotenti, che non potete fare nulla — grida un commerciante ambulante sulla ventina a un carabiniere — ma allora cosa aspettate? Che noi, a questi neri li uccidiamo e li gettiamo nelle terre? O volete che ci ammazziamo tra noi? Tanti povericristi africani ci sono, e io li conosco, ma gli altri rubano e fanno del male, fate pulizia»..
Il blocco Due si forma subito dopo, a centocinquanta metri, sulla Consortile. Sono tutti africani. Difendono quel sangue ancora a terra, di due ragazzi ivoriani, feriti domenica e per caso scampati alla morte. «Non è vero che quei nostri fratelli stavano rubando una bombola di gas — dice il più calmo — noi siamo guardati con disprezzo, con odio, ci insultano e poi vogliono i nostri soldi per fittare delle fogne e cercano la nostra manodopera e il nostro silenzio per i lavori più umili». È una ferita che ne apre altre e scava nuove trincee e si mischia a frustrazioni, inganni, degrado e sogni di perduta bellezza della Domitiana ridotta a enorme lager: per i poveri di ogni etnìa; e per i ricchi residui, alcuni neri e criminali, come i boss bianchi.
Così, lentamente, il paesaggio si è ripiegato sulla nuova geografia. E Castel Volturno, e il lembo di Pescopagano sono diventati dormitorio a cielo aperto di case o svaligiate e lasciate alla mercè degli immigrati che arrivano; oppure di ville super accessoriate e coperte di cancelli e vigilantes privati, ufficiali o clandestini. È qui dentro che c’erano i semi della loro “Rodney King”, come la rivolta che infiammò Los Angeles, dopo l’assoluzione dei poliziotti che pestarono “re Rodney”. Enrico Masiti, un impiegato, protesta: «Basterebbe che un paese civile si interrogasse sulle sue bombe sociali, sarebbe bastato fare una sola azione amministrativa esemplare all’anno». Patrizia Del Vacchio, artista che viene solo d’estate a rimettere i piedi nell’acqua che l’ha vista ragazzina: «Diciamo la verità: se non ci fossero stati i Cipriani, famiglia temuta, che “vende” la sua vigilanza a noi qui intorno, quanti sarebbero scesi in piazza? ». Già: imbarazzante la storia dei Cipriani, l’anziano finito in carcere è cognato del vicesindaco Pd di un comune vicino.
«Non ci sono innocenti, siamo tutti vittime, però la colpa è delle istituzioni», abbassa gli occhi Flora Giordano. «Pensare che venivo dall’età di nove anni, mio padre si innamorò di questo posto, fece comprare casa alle sorelle, agli amici. Ma ogni volta che torno, confronto quei ricordi con l’immondizia, l’abbandono e la terra dei dannati che vedo.
E quanti furti, quante devastazioni: purtroppo sono loro, a compierle». Anna Musella confessa: «Io e mia madre ci trasferimmo qui anni fa. Sa che noi non lasciamo mai la villa incustodita? O esce lei, o esco io».
Perfino Angela, la ragazza sotto choc della famiglia Cipriani, l’adolescente che ha vissuto momenti di panico durante l’assalto dei neri, domenica, barricandosi in casa e implorando un vigile del fuoco di tenerle compagnia al telefono mentre quelli distruggevano e entravano al piano di sotto, perfino lei nonostante il suo punto di vista deve riconoscere e ringraziare l’aiuto che le ha dato un altro nero: «Scrivetelo per favore. Voglio ringraziare quel pompiere, e anche quell’africano ».
Ora che il ministro Alfano promette interventi e il presidente dei deputati di Sel, Arturo Scotto, replica: «Più diritti per tutti a Castel Volturno», è chiaro che la storia di questa polveriera dell’immigrazione è stata scritta anche con il sangue dei neri: di Jerry Masslo, dei sei ghanesi innocenti massacrati nel 2008 dalla stragista di Giuseppe Setola, superkiller dei casalesi. E di quel Jospeh Ayimbora, unico sopravvissuto, che nell’unica intervista non insultò i bianchi ma disse «Dio lavorava su di me mentre quelli sparavano ». È la stessa teoria di abbandono e odii costruiti nel laboratorio delle scelte mancate, dell’accidia di governo, locale e centrale. È come quella striscia che è rimasta in via Lista, lo stesso muto filo di sangue.



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