La proposta di Renzi alla Ue «Riforme contro flessibilità»
ROMA — Matteo Renzi sfida il Parlamento a riscrivere in mille giorni la cultura di governo del Paese. Di mattina alla Camera, nel pomeriggio al Senato, il premier sceglie di legare lo scenario europeo alla sua agenda di governo del Paese. È la strada maestra, a suo avviso, per essere credibili e rispettati a Bruxelles dove «l’Italia non cerca una poltroncina o un premio di consolazione, ma va a cercare di fare politica. Il contributo che l’Italia può dare è più grande delle paure».
Ed allora il nostro Paese «intende presentarsi al semestre con un pacchetto unitario di riforme», annuncia in un’Aula che segnala cospicue assenze, mentre i banchi di governo sono quasi al completo: un pacchetto da realizzare su un «arco di tempo sufficiente, un medio periodo politico di mille giorni: dal primo settembre 2014 al 28 maggio 2017». Per Renzi è questo «un arco temporale ampio, quasi triennale, sul quale — avverte — sfidiamo il Parlamento ad individuare, già entro settembre, in modo esplicito come cambiare il fisco, lo sblocca Italia, come intervenire dai diritti all’agricoltura, dalla Pa al Welfare, come migliorare il Paese». E senza queste riforme, aggiunge Renzi, la flessibilità che chiediamo a Bruxelles sarà sempre inferiore alle nostre aspettative. Anche perché nel frattempo, dalla Germania, dopo le aperture della Merkel, arrivano gli stop di due «falchi» come Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze, e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank: per il primo ammorbidire il Patto di Stabilità sarebbe «il peggiore errore» possibile, per il secondo potrebbe «causare scosse enormi per la zona euro, le regole di bilancio andrebbero rafforzate semmai».
Insomma mentre Renzi sembra allungare i tempi del suo programma di riforme, legandolo alla legislatura, da presentare a Bruxelles in cambio di «un riconoscimento di quella flessibilità che sta dentro le regole Ue», da Berlino arrivano segnali contrastanti. Eppure il premier resta convinto di avere carte da giocare, le sue richieste, appoggiate da Parigi, sono oggi più forti ed «autorevoli» per il «risultato politico che ha visto un partito italiano quale più votato a livello Ue». Mentre ben diverso è stato il risultato complessivo dell’urna nell’intera Europa, un voto che è stato anche «la risposta alle politiche economiche che hanno frenato la ripresa». Per questo le posizioni di Weidmann e Schäuble sono accostabili all’idolatria dei «conti in ordine: viola il trattato — denuncia Renzi — chi parla solo di stabilità, non chi parla di crescita. Non c’è possibile stabilità senza crescita. Chi vuole bene all’Europa oggi ha il dovere di salvare l’Europa. I conservatori (non mi riferisco a un partito ma alle idee) devono sapere che rischiano di bloccare il processo di crescita dell’Ue».
Ed a quest’analisi si aggancia una forte critica alla cecità di quanti non avvertono che «viviamo in un momento nel quale ci si apre un’autostrada, una prateria. La stragrande maggioranza degli europei è convinta che la politica economica non abbia consentito all’Ue di crescere». Proprio per questo senza cambiamenti l’Italia non esiterebbe ad obiettare: «Tenetevi la vostra moneta ma lasciateci i nostri valori, perché non basta avere una moneta, un presidente in comune, o accettiamo destino e valori in comune o perdiamo il ruolo stesso dell’Europa». Ed è sempre per la difesa dei «valori» che Renzi è ben deciso ad ottenere durante il suo semestre la riscrittura delle regole sull’immigrazione, che ribalti la «miopia delle istituzioni europee. Dobbiamo considerare il Mediterraneo come un luogo dell’Europa e non come un luogo di qualche Stato membro». Ed allora «la civiltà di andare a salvare vite umane non può essere appannaggio di un solo Stato». Viceversa Bruxelles si occupa solo «delle tecniche di pesca e volta la faccia di fronte ai cadaveri, siamo al limite della xenofobia».
Un lungo applauso della maggioranza accoglie la conclusione del discorso, non si associano i deputati di Sel, escono velocemente dall’aula. Un curioso siparietto vivacizza la lunga esposizione, mentre il premier parla di tecnologia il suo cellulare, ancorché in modalità silenziosa, interferisce con i microfoni d’Aula. Il ministro Roberta Pinotti commenta con ironia: «È l’investimento tecnologico». Renzi spegne l’apparecchio, si scusa e chiosa: «Appunto!».
Marco Galluzzo
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