Iraq. Mosul è in mano agli islamisti
Mosul è caduta. Sventolano le bandiere nere della jihad islamica sopra i tetti della seconda città irachena, in quella provincia di Ninawa culla della civiltà assira, lungo le sponde del Tigri, dove gli archeologi scovarono il più antico spartito musicale al mondo, una pergamena vecchia di 4.500 anni.
Quelle note ancestrali sono oggi sovrastate dalla violenza settaria di un Paese nel caos. Il premier Nouri al-Maliki ieri ha chiesto al parlamento di dichiarare lo stato di emergenza e imporre la legge marziale dopo la potente offensiva lanciata dagli islamisti dell’Isil contro l’intera provincia di Ninawa, strappata in poche ore al debole controllo di Baghdad. Un’operazione già tentata nei giorni scorsi, quando si erano inaspriti gli scontri in tutto il Nord, e che ieri si è tradotta nella fuga del governatore provinciale e nella ritirata della polizia e dell’esercito.
Venerdì l’Isil aveva attaccato Mosul con mezzi blindati, ma i militari avevano respinto l’offensiva con il sostegno di milizie tribali. Ieri la resa: gli islamisti, con granate, armi automatiche e attacchi suicidi, hanno occupato il quartier generale governativo e dato alle fiamme le stazioni di polizia. Hanno liberato un numero imprecisato di detenuti – per l’Isil oltre duemila, mille per la polizia – e assunto il controllo dell’aeroporto, di un base militare dell’aviazione (che gli consegnerebbe così jet e elicotteri) e dei checkpoint intorno alla città.
Immediata la fuga verso il Kurdistan a piedi o con mezzi di fortuna di migliaia di civili, terrorizzati dai possibili scontri tra islamisti e governo e dalla ferocia dei miliziani. È fuggito anche il governatore al-Nujaifi, che prima si è premurato di lanciare un appello alla popolazione abbandonata: «Chiedo agli uomini di Mosul di difendersi e formare comitati pubblici per aiutare la gente e proteggere i quartieri». Da soli, perché per le strade non c’è traccia di poliziotti e soldati, molti hanno sfilato le uniformi e disertato: «Abbiamo perso Mosul. Esercito e polizia hanno lasciato le loro posizioni. È il totale collasso delle forze di sicurezza», ha detto alla stampa un colonnello del commando locale.
Nelle stesse ore Maliki dichiarava l’emergenza e chiedeva il sostegno di Onu e Lega Araba, dimostrandosi incapace di reprimere l’avanzata impetuosa del gruppo qaedista, facilitata dalla permeabilità del confine siriano. Il premier si è appellato anche alla popolazione civile, promettendo la riforma delle forze di sicurezza (per la cui impreparazione non sono pochi quelli che puntano il dito contro gli Stati Uniti) e la consegna delle armi ai cittadini che si uniranno all’esercito per combattere le milizie islamiste.
Sul debole governo di Baghdad pesa la responsabilità di aver inasprito la campagna di esclusione della comunità sunnita irachena. Come Anbar, provincia devastata e parzialmente occupata dalle forze qaediste a dicembre, anche Ninawa è area a maggioranza sunnita, relegata ai margini del potere politico nonostante sia il principale centro commerciale del Paese.
La caduta di Mosul è un grave smacco soprattutto per Washington (e la “guerra per la democrazia”) che negli anni passati aveva concentrato innumerevoli sforzi nel tentativo di ripulire la provincia dagli strascichi della ribellione anti-Usa.
Al confine con la Siria Ninawa, da mesi informalmente controllata dall’Isil, è crocevia preferenziale per le milizie cresciute e radicatesi nelle violenze della guerra civile siriana, che si muovono con facilità da un lato all’altro della frontiera e sono protagoniste di una faida interna alle opposizioni per il controllo delle regioni Nord-Ovest siriane.
Qui l’Isil (ormai separato dall’Al Qaeda di Al Zawahiri, che ne ha disconosciuto l’appartenenza) ha isolato i gruppi anti-Assad rivali, i moderati dell’Esercito Libero Siriano e gli islamisti del Fronte al-Nusra: la resa dei conti ha provocato in poco più di un mese oltre 630 morti e 130mila rifugiati. La guerra civile non fa che acursi, con il regime che mantiene il controllo di parte del Paese e i qaedisti che si radicano nell’altra, marginalizzando le ormai quasi inesistenti opposizioni moderate.
Quasi due Stati paralleli, quello di Damasco e quello dell’Isil, con il secondo che punta non tanto alla deposizione di Assad quanto alla nascita di una sorta di califfato, tra Siria e Iraq, fondato sulla Shari’a.
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