Ingegnere e ambientalista il ciclone Nogarin: sono io quello di sinistra

Ingegnere e ambientalista il ciclone Nogarin: sono io quello di sinistra

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LIVORNO — L’uomo che ha fatto crollare l’ultimo muro rosso d’Italia è un ambientalista convinto, uno che votava i Verdi, qualche volta i Radicali, «una volta da giovanissimo perfino Democrazia Proletaria». «Anche se non ho mai fatto politica nei partiti, sì, io sono di sinistra. Vengo da lì. A Livorno il Movimento Cinque Stelle, che dopo 68 anni ha scippato agli eredi del Pci la città natale del partito, ha il volto mite e pacioso di Filippo Nogarin, 44 anni a settembre, ingegnere aerospaziale, libero professionista in città ma residente a Castiglioncello, venti chilometri più a sud lungo la costa.
Altro che fascisti, dice lui: «Noi siamo quelli che si battono contro gli F35, contro l’omofobia, contro lo strapotere delle banche e in difesa della Costituzione antifascista». Guai per esempio a parlargli di Farage. «Non abbiamo fatto nessuna alleanza in Europa, queste sono manipolazioni di voi giornalisti». E i voti della destra cittadina arrivati per dare la spallata ai «rossi»? Nessun imbarazzo. «Anche perché il Pd non è più un partito di sinistra». «Anzi, facciamo così — dice il neosindaco, indicandosi la testa scottata dal sole —: se il Pd è di sinistra io ho i capelli rasta».
Nogarin ha già spiegato di voler scegliere i futuri assessori attraverso una selezione pubblica delle candidature. I livornesi inviano il curriculum e lui con una commissione di saggi sceglierà i profili giusti per le poltrone giuste. Modello Pizzarotti. «Dovrò fare la conta delle macerie», dice riferendosi all’eredità, «disastrosa», lasciata dalle amministrazioni precedenti. Prima il lavoro, in una città che ha il tasso di disoccupazione più alto della Toscana. E poi no al progetto del nuovo ospedale e sì invece a un po’ di concorrenza tra la grande distribuzione per rompere con il «monopolio» della Coop. Esselunga, per dire, da queste parti, non è mai riuscita ad arrivare. «Noi siamo per il piccolo commercio, ma ho detto in campagna elettorale che a fianco di una coop un giorno sarebbe bello potesse anche nascere un altro marchio, tutto qui».
L’ultimo tabù da rompere è quello del campanile. Con Pisa bisogna lavorare insieme. «Gli sfottò, le prese in giro piacciono a tutti e anche a me. Però noi si deve lavorare con loro. Loro hanno l’aeroporto e noi il porto, bisogna fare sistema».
Poco pallone e tanta vela. Appassionato di fotografia, cucina e letteratura. Dopo la notte del trionfo è arrivata la telefonata di Grillo. «Belin, mi devi 50 euro, mi ha detto». Una scommessa? «No, non ve lo dico, è un segreto tra me e lui». E poi quell’altra telefonata, il papà Bruno che gli confessa il proprio orgoglio per il «figliolo diventato sindaco». Non se l’aspettava nessuno in città. In pochi conoscono Filippo. È di fuori ed era fuori dai giri che contano. La condizione di outsider lo ha portato dritto alla vittoria.
Ieri sono arrivati anche le congratulazioni del vescovo Simone Giusti. «Complimenti per questa storica vittoria, ora non si lasci abbattere dalla difficoltà». Assai meno tenero il commento del day after di un altro livornese illustre come Paolo Virzì: «È stata una risposta rabbiosa della città, ha vinto il risentimento». La guerra dentro il Pd e il mancato ricambio generazionale del partito hanno fatto il resto, sostiene il regista di Ovosodo . «Quello livornese è un Pd ancora poco renziano, chiuso e autoreferenziale», attacca da pochi chilometri di distanza un sindaco dem che ce l’ha fatta, Lorenzo Bacci da Collesalvetti. Ha vinto Grillo o ha perso il Pd? Nogarin è salomonico: «Hanno vinto i livornesi: gente straordinaria, capace di guardare avanti. E anche il fenomeno Renzi presto si sgonfierà».
Andrea Senesi



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