Mose, il mostro della Laguna

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Come (e peg­gio) di vent’anni fa: un «sistema» paral­lelo alla gestione del Mose, la Grande Opera per eccel­lenza. Tren­ta­cin­que gli arre­sti e un altro cen­ti­naio di inda­gati dispo­sti ieri nell’elenco fir­mato dai pm Ste­fano Anci­lotto, Paola Tonini e Ste­fano Buc­cini. Tra i nomi «eccel­lenti» spic­cano quello del depu­tato di Forza Ita­lia Gian­carlo Galan — ex gover­na­tore e mini­stro, attuale pre­si­dente della Com­mis­sione Cul­tura della Camera per cui ser­virà l’autorizzazione — e del sin­daco di Vene­zia Gior­gio Orsoni (Pd) ristretto ai domiciliari.

Ma insieme ai poli­tici è col­las­sata l’architettura delle com­pli­cità: mana­ger, fun­zio­nari pub­blici, pro­fes­sio­ni­sti, con­su­lenti, finan­zieri, vec­chi mar­pioni e nuovi fac­cen­dieri. La para­tia mobile della cor­ru­zione resti­tui­sce, per via giu­di­zia­ria, la cer­tezza di una vera cloaca die­tro la fac­ciata della «sal­va­guar­dia di Vene­zia». Da sem­pre, lo soste­ne­vano gli oppo­si­tori del mega-appalto senza sal­va­gente. Ora è di domi­nio pub­blico, agli atti della Pro­cura della Repubblica.
Un anno dopo l’arresto di Pier­gior­gio Baita (il super­ma­na­ger Man­to­vani Spa) e Gio­vanni Maz­za­cu­rati (sto­rico padre-padrone del Con­sor­zio Vene­zia Nuova), si com­pleta l’indagine con­dotta dalla Guar­dia di finanza con un mal­loppo di 711 pagine che cer­ti­fica fondi neri, finan­zia­menti occulti, con­cus­sioni e com­pli­cità. Seque­strati beni per 40 milioni, scan­da­gliate fat­tu­ra­zioni, veri­fi­cate società a San Marino e in Svizzera.

Crolla let­te­ral­mente la fac­ciata del Veneto: il sin­daco di cen­tro­si­ni­stra è accu­sato di aver preso con­tri­buti elet­to­rali per 560 mila euro; arre­stati l’assessore regio­nale ber­lu­sco­niano Renato Chisso («sti­pen­dio annuale oscil­lante tra i 200 e i 250 mila euro, dalla fine degli anni ‘90 sino ai primi mesi del 2013») e il con­si­gliere regio­nale Pd Giam­pie­tro Mar­chese (58 mila euro ille­citi per le Regio­nali 2010). Ai domi­ci­liari Lia Sar­tori, pre­si­dente uscente della Com­mis­sione indu­stria dell’Europarlamento: 58 mila euro «in nero».

A Galan viene con­te­stata la ristrut­tu­ra­zione milio­na­ria della villa sui Colli Euga­nei, che secondo la Pro­cura sarebbe frutto di un giro di fat­ture false fra Tec­no­stu­dio e Man­to­vani Spa. Al «doge» fon­da­tore di Forza Ita­lia viene con­te­stato di aver rice­vuto «per tra­mite di Chisso, che a sua volta li rice­veva diret­ta­mente da Maz­za­cu­rati, uno sti­pen­dio annuale di circa 1 milione di euro, 900 mila euro tra il 2007 e il 2008 per il rila­scio nell’adunanza della com­mis­sione di sal­va­guar­dia del 20 gen­naio 2004 del parere favo­re­vole e vin­co­lante sul pro­getto defi­ni­tivo del sistema Mose, 900 mila euro tra 2006 e 2007 per il rila­scio (…) del parere favo­re­vole della Com­mis­sione Via della Regione sui pro­getti delle sco­gliere alle boc­che di porto di Mala­mocco e Chioggia».
Senza dimen­ti­care che la Pro­cura ha appena tra­smesso al Tri­bu­nale dei mini­stri il fasci­colo che riguarda Altero Mat­teoli, sena­tore di Forza Ita­lia. Secondo la depo­si­zione di Maz­za­cu­rati, si pro­fi­le­rebbe l’«induzione inde­bita» da parte dell’allora mini­stro prima dell’ambiente e poi delle infra­strut­ture nei lavori di boni­fica a Porto Marghera.

Ma la lista degli arre­stati è ver­ti­gi­nosa intorno al «rici­clag­gio» di circa 25 milioni. Con tanto di «sti­pen­dio in nero» per l’ex magi­strato alle Acque Patri­zio Cuc­cio­letta: 400 mila euro in un conto estero per ammor­bi­dire i con­trolli (più l’assunzione della figlia in una società con­trol­lata dal Con­sor­zio). Stesso atteg­gia­mento nei con­fronti di Maria Gio­vanna Piva che lo rileva al ver­tice dell’ente serenissimo.

Manette per Roberto Mene­guzzo, fon­da­tore e ammi­ni­stra­tore di Pal­la­dio Finan­zia­ria a Vicenza (chiave di volta dei pro­ject finan­cing ospe­da­lieri): nel 2011 aveva ten­tato di sca­lare Fon­sai, pro­po­nen­dosi poi come il Cuc­cia del Nord Est a cavallo fra sus­si­dia­rietà e grandi opere.

Non basta, per­ché l’inchiesta arriva a Padova e fa tre­mare mezza città, alla vigi­lia del bal­lot­tag­gio per l’elezione del sin­daco. In via Trie­ste ha sede anche lo stu­dio del com­mer­cia­li­sta Fran­ce­sco Gior­dano, 69 anni, un pas­sato a sup­porto del Psi e una col­le­zione di inca­ri­chi con la giunta Zano­nato (dalla fusione Magazzini-Interporto al ruolo di revi­sore dei conti nella mul­tiu­ti­lity Ace­ga­sAps). In pas­sag­gio Cor­ner Pisco­pia, a due passi dalla Camera di com­mer­cio, ci sono gli uffici dell’altro col­letto bianco Paolo Venuti: siede nel cda del mer­cato agri-alimentare (38% di quote del Comune) ed è stato pre­si­dente dei revi­sori dei conti di Fiera di Padova Immo­bi­liare Spa (che gesti­sce il nuovo cen­tro con­gressi). Venuti risulta socio della trust com­pany Delta Erre, sigla che com­pare pun­tuale nelle «ope­ra­zioni stra­te­gi­che» di Veneto e Tren­tino. E vanta inca­ri­chi pro­fes­sio­nali in BH4 Spa, Save, Adria Infra­strut­ture, Con­ces­sioni auto­stra­dali venete. Infine, è imba­raz­zante l’arresto dell’architetto Danilo Turato che ha pro­get­tato per Comuni e Uni­ver­sità, oltre alla man­cata nuova sede dell’Arpav nella zona del Tribunale…

È un ver­mi­naio in cui rispunta Lino Bren­tan: uomo della Quer­cia, ex ammi­ni­stra­tore dele­gato dell’Autostrada Padova-Venezia, già con­dan­nato per tan­genti nell’estate 2012. Ma nella lista com­pa­iono i nomi di Giu­seppe Fasiol (brac­cio destro dell’ad di Veneto Strade, Sil­vano Ver­nizzi) e Gio­vanni Artico, già com­mis­sa­rio straor­di­na­rio per Porto Mar­ghera. Arre­sti domi­ci­liari per il magi­strato della Corte dei Conti Vit­to­rio Giu­sep­pone. E ancora Ste­fano Toma­relli del diret­tivo del Con­sor­zio; Ste­fano Boscolo detto Bacheto, tito­lare della Coop San Mar­tino di Chiog­gia, Gian­franco Con­ta­din detto Fla­vio, diret­tore tec­nico della Nuova Coed­mar, e Fede­rico Sutto del Con­sor­zio. Seguono l’ex sin­daco di Mar­tel­lago Enzo Casa­rin, capo della segre­te­ria di Chisso (già con­dan­nato per con­cus­sione); il diret­tore gene­rale di Sit­mar­sub Sc e Bos.ca.srl Nicola Fal­coni; il legale rap­pre­sen­tante di Selc Sc Andrea Rismondo.

Insomma, un sce­na­rio inquie­tante che con­ferma le «intui­zioni» di chi si è sem­pre oppo­sto al Mose. E mette spalle al muro la poli­tica bipar­ti­san delle lar­ghe intese, ma anche il leghi­sta Luca Zaia nella rin­corsa al secondo man­dato. Sin­te­tizza Mas­simo Cac­ciari, scon­so­lato: «Il modo in cui si fanno le grandi opere in Ita­lia è cri­mi­no­geno. Da sin­daco, durante i governi Prodi e Ber­lu­sconi, avviai un pro­cesso di discus­sione e veri­fica. In tanti pas­saggi ebbi modo di ripe­tere che le pro­ce­dure assunte non per­met­te­vano alcun con­trollo da parte degli enti locali e che il Mose si poteva fare a con­di­zioni più van­tag­giose. L’ho ripe­tuto milioni di volte, senza essere ascol­tato. Negli anni del governo Prodi, all’ultima riu­nione del Comi­ta­tone, che diede il via libera al pro­se­gui­mento dei lavori del Mose fui l’unico a votare con­tro con il solo soste­gno di una parte del cen­tro­si­ni­stra. Da allora non me ne sono più interessato…».



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