Gas serra, Obama per un taglio netto

Gas serra, Obama per un taglio netto

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NEW YORK — Un taglio consistente, in molti casi anche del 20 per cento, delle emissioni di CO2 che i gestori delle centrali elettriche a carbone degli Stati Uniti dovranno realizzare entro il 2020. Impossibilitato a varare leggi efficaci contro l’effetto serra a causa del conflitto tra democratici e repubblicani che paralizza da tempo il Congresso, Barack Obama ha deciso di intervenire utilizzando, per quanto possibile, i poteri esecutivi del presidente. La direttiva all’Epa, l’Ente per la protezione dell’ambiente, che verrà annunciata lunedì, poco prima della partenza del leader americano per un viaggio in Europa, non è certo un piano articolato, ma farà comunque storia: nessun presidente Usa ha mai adottato una misura così incisiva contro i mutamenti climatici. Le centrali elettriche, infatti, sono responsabili del 40 per cento delle emissioni di anidride carbonica degli Stati Uniti. E quelle a carbone, ovviamente, sono le maggiori responsabili dell’inquinamento e del riscaldamento dell’atmosfera.
Le compagnie elettriche stanno già da tempo cercando di spostare la generazione d’energia verso fonti meno inquinanti: l’anno scorso le loro centrali hanno bruciato 825 milioni di tonnellate di carbone, parecchie meno delle 1.045 consumate nel 2007. Ora Obama ha deciso di imprimere un’accelerazione a questo processo contando anche sulla elevata disponibilità di gas naturale, quello prodotto grazie alla rivoluzione dello shale gas, che nel processo di combustione delle centrali emette meno della metà del CO2 rispetto al carbone. Tutto apparentemente abbastanza logico, ragionevole. Il piano del governo cerca anche di lasciare un certo margine di flessibilità ai singoli Stati dell’Unione che potranno raggiungere i loro obiettivi sostituendo elettricità da carbone con quella prodotta con le fonti rinnovabili (solare ed eolico), convertendo gli impianti carboniferi a gas, provando a sviluppare le tecnologie del «carbone pulito» o facendo pagare una sorta di penale ai produttori che eccedono i limiti.
Nonostante questi margini di adattamento e la disponibilità di alcune grandi «utility» come la Dynergy favorevoli al sistema delle penali, l’intervento di Obama in campo ambientale sta già provocando reazioni assai dure da parte della lobby del carbone e, soprattutto, dei conservatori che considerano quella del presidente una mossa ideologica, a sfondo elettorale. Era probabilmente inevitabile che accadesse in un Paese nel quale negli Stati con un’economia fortemente basata sul carbone non vogliono sentir parlare di regole e taglio dei consumi inquinanti. In Wyoming, lo Stato che produce il 40 per cento del carbone bruciato negli Usa, il ministero dell’Istruzione dello Stato ha addirittura respinto i nuovi standard educativi federali — i programmi scolastici che contemplano anche l’illustrazione dei danni provocati dai mutamenti climatici — sostenendo che non hanno un adeguato fondamento scientifico.
Un atteggiamento integralista di rifiuto preconcetto che ricorda l’atteggiamento degli Stati nei quali la destra religiosa ha imposto l’insegnamento del creazionismo al posto dell’evoluzionismo darwiniano. Altri Stati come l’Oklahoma e il South Carolina si stanno muovendo nella stessa direzione mentre nel Kentucky il governatore ha preso il coraggio a due mani e ha posto il veto a una misura di questo tipo votata dal parlamento locale e da lui bollata come oscurantista e contraria alla verità scientifica.
Ma le resistenze si sentono anche in campo democratico e vengono non solo dagli Stati che producono più carbone ma anche da quelli, come Illinois e Michigan, che ne bruciano molto perché l’energia così prodotta è meno cara e rende più competitive le industrie locali. Così a volte destra integralista e sindacati si ritrovano nella stessa trincea, preoccupati più di sostenere l’economia e l’occupazione nell’immediato che di bloccare il processo di degenerazione dell’atmosfera. Obama è consapevole delle difficoltà e, infatti, per cinque anni ha tenuto chiuse in un cassetto le sue promesse elettorali sull’ambiente. Ora, grazie allo shale gas a buon mercato, pensa che sia possibile provare a imprimere una svolta, tornando al suo originario spirito ambientalista.
Massimo Gaggi


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