Piccolo spaccio, «pene da ridurre»
«Affermativa». È questa la risposta delle Sezioni unite della Cassazione alla domanda se fosse diritto delle persone condannate per piccolo spaccio in via definitiva, anche se recidivanti, chiedere uno sconto della pena in esecuzione dopo la recente sentenza della Consulta che dichiara incostituzionale la legge Fini-Giovanardi e che va ad aggiungersi all’altro pronunciamento emesso dalla Corte costituzionale nel 2012 contro una norma contenuta nella cosiddetta ex Cirielli, la legge ad personam nata per salvare Previti e Berlusconi.
Per avere informazioni più precise sulla modalità del ricalcolo bisognerà attendere il dispositivo completo, ma nell’«informazione provvisoria» diramata ieri dal primo presidente Giorgio Santacroce i giudici supremi hanno risposto chiaramente, accogliendo il ricorso presentato dalla procura di Napoli contro una sentenza che aveva negato ad un condannato per spacci di poche dosi di cocaina e di cannabis l’attenuante della lieve entità sull’aggravante della recidiva. Al momento, stima l’amministrazione penitenziaria, sono circa 3 o 4 mila i detenuti che potrebbero beneficiare degli effetti di questa sentenza, tra i 14 mila in carcere per la sola violazione dell’articolo 73 della legge sulle droghe («23 mila, di cui il 40% stranieri, quelli per violazione dell’intera normativa», secondo il sindacato di polizia penitenziaria Sappe) presentendo però al giudice dell’esecuzione la richiesta di revisione della pena.
«Il giudice dell’esecuzione, ove ritenga prevalente sulla recidiva la circostanza attenuante», scrive la Cassazione a Sezioni unite, ai fini della rideterminazione della pena dovrà prendere in considerazione il testo di legge precedente alla Fini-Giovanardi, cancellata nel febbraio scorso, «senza tenere conto di successive modifiche di legge». Ossia, senza considerare il “decreto Lorenzin” che trasforma la circostanza attenuante dello spaccio di lieve entità in fattispecie autonoma di reato, innalzando però le pene edittali per le droghe leggere. In questo modo, i giudici supremi di Piazza Cavour smentiscono l’orientamento giurisprudenziale che vorrebbe le sentenze passate in giudicato intangibili.
Il verdetto della Cassazione «inciderà significativamente» sul sovraffollamento carcerario, ha detto ieri il ministro di Giustizia, Andrea Orlando. «Non sappiamo dire esattamente con quali numeri», ha aggiunto il Guardasigilli, ma «questo ci fa dire che l’uscita dall’emergenza sarà probabilmente più rapida». In realtà, senza un intervento politico si dilatano a dismisura i tempi per la liberazione di chi ingiustamente sta scontando una condanna per effetto di una norma penale dichiarata incostituzionale anche se, come spiega l’informativa della Cassazione, «diversa dalla norma incriminatrice ma che incide sul trattamento sanzionatorio». «Aumenteranno a dismisura i carichi dei giudici ordinari che dovranno affrontare i procedimenti camerali attraverso i quali si dovrà ricalcolare al ribasso la pena di migliaia di detenuti», avverte Rita Bernardini. La segretaria dei Radicali italiani invita le istituzioni ad «attivarsi immediatamente per un provvedimento di amnistia e di indulto che, liberando le scrivanie dei magistrati, consentirebbe di indirizzare maggiori forze per perseguire i reati gravi e farebbe uscire dal carcere chi deve scontare gli ultimi due o tre anni di detenzione fra i quali le migliaia di reclusi vittime della Fini-Giovanardi». Anche l’Unione delle camere penali parla di «sovraccarico sul sistema giudiziario» e sottolinea la disparità di trattamento che si potrebbe creare a causa della discrezionalità dei giudizi. Per i penalisti «l’applicazione di questa sentenza non risolve» il problema del sovraffollamento carcerario e «non sposta nulla rispetto alla necessità di un provvedimento di clemenza generalizzato».
Una sentenza, questa, che «mette l’Italia al passo con la giurisprudenza di Strasburgo –ha spiegato Giuseppe Maria Berruti, direttore dell’Ufficio del Massimario della Cassazione – e, insieme alle due sentenze della Consulta, ci mette più in regola con la Carta di diritti dell’uomo. Il diritto non è immobile – ha aggiunto – cambia a seconda del quadro storico di riferimento e questa vicenda dimostra che il quadro storico è mutato rispetto a quando la legge Fini-Giovanardi venne emanata». Otto anni, migliaia di condannati e perfino qualche morte fa.
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