Cassintegrata Fiat suicida: “Così non vivo”

Cassintegrata Fiat suicida: “Così non vivo”

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NAPOLI . «Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti». Così scriveva nel 2011 Maria Baratto, operaia Fiat che si è suicidata alcuni giorni fa, facendo vincere così il lato disperato di quella sua osservazione. Maria Baratto è stata trovata ieri nella sua abitazione, a Acerra, in un lago di sangue. Si era accoltellata allo stomaco, probabilmente cinque giorni fa. Da tanto infatti non la vedevano in giro i vicini, che ieri mattina hanno cominciato anche ad avvertire cattivo odore. Hanno così chiamato i carabinieri, ma questi sono dovuti ricorrere ai vigili del fuoco per sfondare la porta, chiusa dall’interno.
Il corpo senza vita di Maria era riverso sul letto, la mano allungata verso il telefono, forse in un ultimo tentativo di chiedere aiuto. Il medico legale ha riscontrato diversi fendenti all’addome. I vicini hanno anche riferito che soffriva da tempo di crisi depressive. Non è stato trovato alcun biglietto che spiegasse le cause del gesto. La morte dovrebbe risalire a martedì scorso, ma le certezze definitive verranno dall’autopsia.
Maria aveva 47 anni e era conosciuta in fabbrica, era anzi una attivista del Comitato mogli- operai di Pomigliano. Proprio sul sito del comitato aveva pubblicato la sua riflessione, nell’agosto di tre anni fa. «A Pomigliano — scriveva Maria — l’unica certezza dei cinquemila lavoratori consiste nella lettera di altri due anni di cassa integrazione». Maria era rimasta infatti molto impressionata dal fatto che un collega, Carmine P., avesse tentato il suicidio il giorno prima, peraltro con modalità simili a quelle con cui Maria si è ora tolta la vita. Carmine, che riuscì a salvarsi, aveva per l’appunto ricevuto da poco la lettera con la comunicazione di altri due anni di cassa integrazione.
Non era stata la prima uscita pubblica di Maria. Due anni prima, nel 2009, aveva rilasciato una amara intervista per il film documentario di Luca Rossomando “La fabbrica incerta”. In quell’occasione si sfogava così: «Le patologie causate dalla catena di montaggio? A 22 anni montavo il tergilunotto sull’Alfa 33, da sola. Oggi prendo psicofarmaci, ma voglio credere che la figura dell’operaio torni a essere quella di una volta». Due anni dopo lo scritto, intitolato “Suicidi in Fiat”, nel quale accusava che «l’intero quadro politico-istituzionale, che da sinistra a destra ha coperto le insane politiche della Fiat, è corresponsabile di questi morti insieme alle centrali confederali». Inoltre accusava Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, che «chiude e ridimensiona le fabbriche italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori». Infine ricordava che, prima del tentato suicidio di Carmine, c’era stato il suicidio di un altro collega, Agostino Bova, a Termini Imerese. E oggi lo Slai Cobas, nel definire lo scritto di Maria «un lucido testamento politico e sindacale, la nitida rappresentazione dell’attuale condizione e solitudine operaia fotografata dall’interno», ricorda anche l’ultimo suicidio di un operaio di Nola, a febbraio scorso, quello di Giuseppe De Crescenzo, che si è impiccato in casa.
Lo scenario è quello del famoso referendum del 2010. Ma una delle prime cause della tensione che avrebbe raggiunto l’apice al referendum si era sviluppata un paio di anni prima, quando Fiat dispose il trasferimento di 316
operai a un nuovo reparto, il Wcl (Wordl class logistic) di Nola. Vicenda annosa, con la cassa integrazione tuttora operante, in scadenza a luglio, tanto che gli operai di Nola hanno chiesto ancora un mese fa di ritornare alla casa base di Pomigliano. E una manifestazione sul cosiddetto “reparto logistico fantasma” era già stata indetta, prima del suicidio di Maria, per il 28 maggio, presso la Regione, convocata dagli autonomi di Slai Cobas, ma alla quale ha aderito anche la Fiom-Cgil di Napoli. Anche Maria, come Carmine, come Giuseppe, era in forza a quel reparto logistico di Nola.



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